• Quelques enseignements de la carte de 42 sites sous surveillance de Darmanin
    https://ricochets.cc/Quelques-enseignements-de-la-carte-de-42-sites-sous-surveillance-de-Darman

    Les gesticulations martiales de Darmanin l’adepte forcené de l’extrême droite se sont portées sur une carte de France avec 42 projets écocidaires combattus. Quelques réflexions sur la résistance au système technologique sont nées de la lecture de cette carte : 🕵️ Le ministre de l’Intérieur a commandé une carte de 42 sites sous surveillance ainsi que la création d’une cellule « anti-ZAD » (zone à défendre). Que pouvons-nous en tirer ? La carte nous rappelle tout d’abord que la colonisation du vivant par le (...) #Les_Articles

    / #Technologie, #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle

  • Ces #terres qui se défendent

    Pour son hors-série hivernal, le magazine indépendant Socialter s’associe au collectif Reprise de terres pour s’attaquer à l’accaparement des terres en France et au système productiviste qui le soutient.

    Nous sommes au seuil d’une catastrophe foncière. Dans les dix prochaines années, la moitié des agriculteurs français va partir à la retraite, et c’est près d’un quart du territoire français qui va changer de mains. Un chambardement démographique qui aiguise déjà toutes les convoitises : celles de l’agro-industrie et ses pesticides, des bétonneurs et leurs entrepôts, des aménageurs de territoire et leurs autoroutes. Leur monde se fera sans les vivants et contre eux.

    Alors comment inventer des tactiques foncières, politiques et juridiques pour contrer cet accaparement ? Quelles alliances politiques nouer pour lui opposer un front solide ? Comment résorber les divisions historiques entre #paysannerie et protection du vivant ? Comment dépasser l’opposition entre mise en culture des terres et libre évolution – entre nature et culture ?

    https://fr.ulule.com/hors-serie-socialter-ces-terres-qui-se-defendent

    #résistance #reprise_de_terres #accaparement_des_terres #France #foncier #agriculture #retraite #démographie

    déjà signalé par @halbnar :
    https://seenthis.net/messages/978693

  • Topli Do: dalla resistenza la rinascita di un villaggio
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Topli-Do-dalla-resistenza-la-rinascita-di-un-villaggio-224417

    L’unica ricchezza di Topli Do, villaggio in via di spopolamento tra i boschi della Stara Planina, in Serbia, sono i suoi torrenti impetuosi. Quando nel 2019 una centralina idroelettrica stava per portarglieli via, i pochi abitanti rimasti non hanno esitato a erigere delle barricate. Da allora il villaggio vive un’insperata rinascita

  • Conférence Pour une écologie radicale
    https://ricochets.cc/Conference-Pour-une-ecologie-radicale-6684.html

    La culture dominante est en train de tuer la planète. La civilisation industrielle, sa structure et ses valeurs, nous dirige vers l’effondrement biotique.

    Il est temps pour celles et ceux d’entre nous qui se soucient de la vie sur Terre de commencer à prendre les mesures nécessaires. Pour riposter et l’empêcher de détruire tout ce qui vit, nous avons besoin de stratégies efficaces et des passages à l’action. Une conférence d’1h30 suivie d’échanges

    Entrée libre FB : (...) #Les_Articles

    / #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle, #Ecologie, #Vallée_de_la_Drôme, #Aouste_sur_Sye

  • Nessuno vuole mettere limiti all’attività dell’Agenzia Frontex

    Le istituzioni dell’Ue, ossessionate dal controllo delle frontiere, sembrano ignorare i problemi strutturali denunciati anche dall’Ufficio europeo antifrode. E lavorano per dispiegare le “divise blu” pure nei Paesi “chiave” oltre confine

    “Questa causa fa parte di un mosaico di una più ampia campagna contro Frontex: ogni attacco verso di noi è un attacco all’Unione europea”. Con questi toni gli avvocati dell’Agenzia che sorveglia le frontiere europee si sono difesi di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il 9 marzo, per la prima volta in oltre 19 anni di attività (ci sono altri due casi pendenti, presentati dalla Ong Front-Lex), le “divise blu” si sono trovate di fronte a un giudice grazie alla tenacia dell’avvocata olandese Lisa-Marie Komp.

    Non è successo, invece, per le scioccanti rivelazioni del rapporto dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) che ha ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -spiega Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Non solo l’impunità ma anche la cieca fiducia ribadita più volte da diverse istituzioni europee. Il 28 giugno 2022 il Consiglio europeo, a soli due mesi dalle dimissioni di Leggeri, dà il via libera all’apertura dei negoziati per portare gli agenti di Frontex in Senegal con la proposta di garantire un’immunità totale nel Paese per le loro azioni.

    A ottobre, invece, a pochi giorni dalla divulgazione del rapporto Olaf -tenuto segreto per oltre quattro mesi- la Commissione europea chiarisce che l’Agenzia “si è già assunta piena responsabilità di quanto successo”. Ancora, a febbraio 2023 il Consiglio europeo le assicura nuovamente “pieno supporto”. Un dato preoccupante soprattutto con riferimento all’espansione di Frontex che mira a diventare un attore sempre più presente nei Paesi chiave per la gestione del fenomeno migratorio, a migliaia di chilometri di distanza dal suo quartier generale di Varsavia.

    “I suoi problemi sono strutturali ma le istituzioni europee fanno finta di niente: se già è difficile controllare gli agenti sui ‘nostri’ confini, figuriamoci in Paesi al di fuori dell’Ue”, spiega Yasha Maccanico, membro del centro di ricerca indipendente Statewatch.

    A fine febbraio 2023 l’Agenzia ha festeggiato la conclusione di un progetto che prevede la consegna di attrezzature ai membri dell’Africa-Frontex intelligence community (Afic), finanziata dalla Commissione, che ha permesso dal 2010 in avanti l’apertura di “Cellule di analisi del rischio” (Rac) gestite da analisti locali formati dall’Agenzia con l’obiettivo di “raccogliere e analizzare informazioni strategiche su crimini transfrontalieri” oltre che a “sostenere le autorità nella gestione dei confini”. A partire dal 2021 una potenziata infrastruttura garantisce “comunicazioni sicure e istantanee” tra le Rac e gli agenti nella sede di Varsavia. Questo è il “primo livello” di collaborazione tra Frontex e le autorità di Paesi terzi che oggi vede, come detto, “cellule” attive in Nigeria, Gambia, Niger, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Togo e Mauritania oltre a una ventina di Stati coinvolti nelle attività di formazione degli analisti, pronti ad attivare le Rac in futuro. “Lo scambio di dati sui flussi è pericoloso perché l’obiettivo delle politiche europee non è proteggere i diritti delle persone, ma fermarle nei Paesi più poveri”, continua Maccanico.

    Un gradino al di sopra delle collaborazioni più informali, come nell’Afic, ci sono i cosiddetti working arrangement (accordi di cooperazione) che permettono di collaborare con le autorità di un Paese in modo ufficiale. “Non serve il via libera del Parlamento europeo e di fatto non c’è nessun controllo né prima della sottoscrizione né ex post -riprende Salzano-. Se ci fosse uno scambio di dati e informazioni dovrebbe esserci il via libera del Garante per la protezione dei dati personali, ma a oggi, questo parere, è stato richiesto solo nel caso del Niger”. A marzo 2023 sono invece 18 i Paesi che hanno siglato accordi simili: da Stati Uniti e Canada, passando per Capo Verde fino alla Federazione Russa. “Sappiamo che i contatti con Mosca dovrebbero essere quotidiani. Dall’inizio del conflitto ho chiesto più volte all’Agenzia se queste comunicazioni sono state interrotte: nessuno mi ha mai risposto”, sottolinea Salzano.

    Obiettivo ultimo dell’Agenzia è riuscire a dispiegare agenti e mezzi anche nei Paesi terzi: una delle novità del regolamento del 2019 rispetto al precedente (2016) è proprio la possibilità di lanciare operazioni non solo nei “Paesi vicini” ma in tutto il mondo. Per farlo sono necessari gli status agreement, accordi internazionali che impegnano formalmente anche le istituzioni europee. Sono cinque quelli attivi (Serbia, Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, Moldova) ma sono in via di sottoscrizione quelli con Senegal e Mauritania per limitare le partenze (poco più di 15mila nel 2022) verso le isole Canarie, mille chilometri più a Nord: accordi per ora “fermi”, secondo quanto ricostruito dalla parlamentare europea olandese Tineke Strik che a fine febbraio ha visitato i due Stati, ma che danno conto della linea che si vuole seguire. Un quadro noto, i cui dettagli però spesso restano nascosti.

    È quanto emerge dal report “Accesso negato”, pubblicato da Statewatch a metà marzo 2023, che ricostruisce altri due casi di scarsa trasparenza negli accordi, Niger e Marocco, due Paesi chiave nella strategia europea di esternalizzazione delle frontiere. “Con la ‘scusa’ della tutela della riservatezza nelle relazioni internazionali e mettendo la questione migratoria sotto il cappello dell’antiterrorismo l’accesso ai dettagli degli accordi non è consentito”, spiega Maccanico, uno dei curatori dello studio. Non si conoscono, per esempio, i compiti specifici degli agenti, per cui si propone addirittura l’immunità totale. “In alcuni accordi, come in Macedonia del Nord, si è poi ‘ripiegato’ su un’immunità connessa solo ai compiti che rientrano nel mandato dell’Agenzia -osserva Salzano-. Ma il problema non cambia: dove finisce la sua responsabilità e dove inizia quella del Paese membro?”. Una zona grigia funzionale a Frontex, anche quando opera sul territorio europeo.

    Lo sa bene l’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp che, come detto, ha portato l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue. Il caso, su cui il giudice si pronuncerà nei prossimi mesi, riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia, è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia: quel volo è stato gestito da Frontex, in collaborazione con le autorità greche. “L’Agenzia cerca di scaricare le responsabilità su di loro ma il suo mandato stabilisce chiaramente che è tenuta a monitorare il rispetto dei diritti fondamentali durante queste operazioni -spiega-. Serve chiarire che tutti devono rispettare la legge, compresa l’Agenzia le cui azioni hanno un grande impatto sulla vita di molte persone”.

    Le illegittimità nell’attività dei rimpatri sono note da tempo e il caso della famiglia siriana non è isolato. “Quando c’è una forte discrepanza nelle decisioni sulle domande d’asilo tra i diversi Paesi europei, l’attività di semplice ‘coordinamento’ e preparazione delle attività di rimpatrio può tradursi nella violazione del principio di non respingimento”, spiega Mariana Gkliati, docente di Migrazione e Asilo all’università olandese di Tilburg. Nonostante questi problemi e un sistema d’asilo sempre più fragile, negli ultimi anni i poteri e le risorse a disposizione per l’Agenzia sui rimpatri sono esplosi: nel 2022 questa specifica voce di bilancio prevedeva quasi 79 milioni di euro (+690% rispetto ai dieci milioni del 2012).

    E la crescita sembra destinata a non fermarsi. Frontex nel 2023 stima di poter rimpatriare 800 persone in Iraq, 316 in Pakistan, 200 in Gambia, 75 in Afghanistan, 57 in Siria, 60 in Russia e 36 in Ucraina come si legge in un bando pubblicato a inizio febbraio 2023 che ha come obiettivo la ricerca di partner in questi Paesi (e in altri, in totale 43) per garantire assistenza di breve e medio periodo (12 mesi) alle persone rimpatriate. Un’altra gara pubblica dà conto della centralità dell’Agenzia nella “strategia dei rimpatri” europea: 120 milioni di euro nel novembre 2022 per l’acquisto di “servizi di viaggio relativi ai rimpatri mediante voli di linea”. Migliaia di biglietti e un nuovo sistema informatico per gestire al meglio le prenotazioni, con un’enorme mole di dati personali delle persone “irregolari” che arriveranno nelle “mani” di Frontex. Mani affidabili, secondo la Commissione europea.

    Ma il 7 ottobre 2022 il Parlamento, nel “bocciare” nuovamente Frontex rispetto al via libera sul bilancio 2020, dava conto del “rammarico per l’assenza di procedimenti disciplinari” nei confronti di Leggeri e della “preoccupazione” per la mancata attivazione dell’articolo 46 (che prevede il ritiro degli agenti quando siano sistematiche le violazioni dei diritti umani) con riferimento alla Grecia, in cui l’Agenzia opera con 518 agenti, 11 navi e 30 mezzi. “I respingimenti e la violenza sui confini continuano sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime così come non si è interrotto il sostegno alle autorità greche”, spiega la ricercatrice indipendente Lena Karamanidou. La “scusa” ufficiale è che la presenza di agenti migliori la situazione ma non è così. “Al confine terrestre di Evros, la violenza è stata documentata per tutto il tempo in cui Frontex è stata presente, fin dal 2010. È difficile immaginare come possa farlo in futuro vista la sistematicità delle violenze su questo confine”. Su quella frontiera si giocherà anche la presunta nuova reputazione dell’Agenzia guidata dal primo marzo dall’olandese Hans Leijtens: un tentativo di “ripulire” l’immagine che è già in corso.

    Frontex nei confronti delle persone in fuga dal conflitto in Ucraina ha tenuto fin dall’inizio un altro registro: i “migranti irregolari” sono diventati “persone che scappano da zone di conflitto”; l’obiettivo di “combattere l’immigrazione irregolare” si è trasformato nella gestione “efficace dell’attraversamento dei confini”. “Gli ultimi mesi hanno mostrato il potenziale di Frontex di evolversi in un attore affidabile della gestione delle frontiere che opera con efficienza, trasparenza e pieno rispetto dei diritti umani”, sottolinea Gkliati nello studio “Frontex assisting in the ukrainian displacement. A welcoming committee at racialised passage?”, pubblicato nel marzo 2023. Una conferma ulteriore, per Salzano, dei limiti strutturali dell’Agenzia: “La legge va rispettata indipendentemente dalla cornice in cui operi: la tutela dei diritti umani prescinde dagli umori della politica”.

    https://altreconomia.it/nessuno-vuole-mettere-limiti-allattivita-dellagenzia-frontex

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    • I rischi della presenza di Frontex in Africa: tanto potere, poca responsabilità

      L’eurodeputata #Tineke_Strik è stata in Senegal e Mauritania a fine febbraio 2023: in un’intervista ad Altreconomia ricostruisce lo stato dell’arte degli accordi che l’Ue vorrebbe concludere con i due Paesi ritenuti “chiave” nel contrasto ai flussi migratori. Denunciando la necessità di una riforma strutturale dell’Agenzia.

      A un anno di distanza dalle dimissioni del suo ex direttore Fabrice Leggeri, le istituzioni europee non vogliono mettere limiti all’attività di Frontex. Come abbiamo ricostruito sul numero di aprile di Altreconomia, infatti, l’Agenzia -che dal primo marzo 2023 è guidata da Hans Leijtens- continua a svolgere un ruolo centrale nelle politiche migratorie dell’Unione europea nonostante le pesanti rivelazioni dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf), che ha ricostruito nel dettaglio il malfunzionamento nelle operazioni delle divise blu lungo i confini europei.

      Ma non solo. Un aspetto particolarmente preoccupante sono le operazioni al di fuori dei Paesi dell’Unione, che rientrano sempre di più tra le priorità di Frontex in un’ottica di esternalizzazione delle frontiere per “fermare” preventivamente i flussi di persone dirette verso l’Europa. Non a caso, a luglio 2022, nonostante i contenuti del rapporto Olaf chiuso solo pochi mesi prima, la Commissione europea ha dato il via libera ai negoziati con Senegal e Mauritania per stringere un cosiddetto working arrangement e permettere così agli “agenti europei” di operare nei due Paesi africani (segnaliamo anche la recente ricerca pubblicata dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione sul tema).

      Per monitorare lo stato dell’arte di questi accordi l’eurodeputata Tineke Strik, tra le poche a opporsi e a denunciare senza sconti gli effetti delle politiche migratorie europee e il ruolo di Frontex, a fine febbraio 2023 ha svolto una missione di monitoraggio nei due Paesi. Già professoressa di Diritto della cittadinanza e delle migrazioni dell’Università di Radboud di Nimega, in Olanda, è stata eletta al Parlamento europeo nel 2019 nelle fila di GroenLinks (Sinistra verde). L’abbiamo intervistata.

      Onorevole Strik, secondo quanto ricostruito dalla vostra visita (ha partecipato alla missione anche Cornelia Erns, di LeftEu, ndr), a che punto sono i negoziati con il Senegal?
      TS La nostra impressione è che le autorità senegalesi non siano così desiderose di concludere un accordo di status con l’Unione europea sulla presenza di Frontex nel Paese. L’approccio di Bruxelles nei confronti della migrazione come sappiamo è molto incentrato su sicurezza e gestione delle frontiere; i senegalesi, invece, sono più interessati a un intervento sostenibile e incentrato sullo sviluppo, che offra soluzioni e affronti le cause profonde che spingono le persone a partire. Sono molti i cittadini del Senegal emigrano verso l’Europa: idealmente, il governo vuole che rimangano nel Paese, ma capisce meglio di quanto non lo facciano le istituzioni Ue che si può intervenire sulla migrazione solo affrontando le cause alla radice e migliorando la situazione nel contesto di partenza. Allo stesso tempo, le navi europee continuano a pescare lungo le coste del Paese (minacciando la pesca artigianale, ndr), le aziende europee evadono le tasse e il latte sovvenzionato dall’Ue viene scaricato sul mercato senegalese, causando disoccupazione e impedendo lo sviluppo dell’economia locale. Sono soprattutto gli accordi di pesca ad aver alimentato le partenze dal Senegal, dal momento che le comunità di pescatori sono state private della loro principale fonte di reddito. Serve domandarsi se l’Unione sia veramente interessata allo sviluppo e ad affrontare le cause profonde della migrazione. E lo stesso discorso può essere fatto su molti dei Paesi d’origine delle persone che cercano poi protezione in Europa.

      Dakar vede di buon occhio l’intervento dell’Unione europea? Quale tipo di operazioni andrebbero a svolgere gli agenti di Frontex nel Paese?
      TS Abbiamo avuto la sensazione che l’Ue non ascoltasse le richieste delle autorità senegalesi -ad esempio in materia di rilascio di visti d’ingresso- e ci hanno espresso preoccupazioni relative ai diritti fondamentali in merito a qualsiasi potenziale cooperazione con Frontex, data la reputazione dell’Agenzia. È difficile dire che tipo di supporto sia previsto, ma nei negoziati l’Unione sta puntando sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime.

      Che cosa sta avvenendo in Mauritania?
      TS Sebbene questo Paese sembri disposto a concludere un accordo sullo status di Frontex -soprattutto nell’ottica di ottenere un maggiore riconoscimento da parte dell’Europa-, preferisce comunque mantenere l’autonomia nella gestione delle proprie frontiere e quindi non prevede una presenza permanente dei funzionari dell’Agenzia nel Paese. Considerano l’accordo sullo status più come un quadro giuridico, per consentire la presenza di Frontex in caso di aumento della pressione migratoria. Inoltre, come il Senegal, ritengono che l’Europa debba ascoltare e accogliere le loro richieste, che riguardano principalmente i visti e altre aree di cooperazione. Anche in questo caso, Bruxelles chiede il mandato più ampio possibile per gli agenti in divisa blu durante i negoziati per “mantenere aperte le opzioni [più ampie]”, come dicono loro stessi. Ma credo sia chiaro che il loro obiettivo è quello di operare sia alle frontiere marittime sia a quelle terrestri.
      Questo a livello “istituzionale”. Qual è invece la posizione della società civile?
      TS In entrambi i Paesi è molto critica. In parte a causa della cattiva reputazione di Frontex in relazione ai diritti umani, ma anche a causa dell’esperienza che i cittadini senegalesi e mauritani hanno già sperimentato con la Guardia civil spagnola, presente nei due Stati, che ritengono stia intaccando la sovranità per quanto riguarda la gestione delle frontiere. È previsto che il mandato di Frontex sia addirittura esecutivo, a differenza di quello della Guardia civil, che può impegnarsi solo in pattugliamenti congiunti in cui le autorità nazionali sono al comando. Quindi la sovranità di entrambi i Paesi sarebbe ulteriormente minata.

      Perché a suo avviso sarebbe problematica la presenza di agenti di Frontex nei due Paesi?
      TS L’immunità che l’Unione europea vorrebbe per i propri operativi dispiegati in Africa non è solo connessa allo svolgimento delle loro funzioni ma si estende al di fuori di esse, a questo si aggiunge la possibilità di essere armati. Penso sia problematico il rispetto dei diritti fondamentali dei naufraghi intercettati in mare, poiché è difficile ottenere l’accesso all’asilo sia in Senegal sia in Mauritania. In questo Paese, ad esempio, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) impiega molto tempo per determinare il loro bisogno di protezione: fanno eccezione i maliani, che riescono a ottenerla in “appena” due anni. E durante l’attesa queste persone non hanno quasi diritti.

      Ma se ottengono la protezione è comunque molto difficile registrarsi presso l’amministrazione, cosa necessaria per avere accesso al mercato del lavoro, alle scuole o all’assistenza sanitaria. E le conseguenze che ne derivano sono le continue retate, i fermi e le deportazioni alla frontiera, per impedire alle persone di partire. A causa delle attuali intercettazioni in mare, le rotte migratorie si stanno spostando sulla terra ferma e puntano verso l’Algeria: l’attraversamento del deserto può essere mortale. Il problema principale è che Frontex deve rispettare il diritto dell’Unione europea anche se opera in un Paese terzo in cui si applicano norme giuridiche diverse, ma l’Agenzia andrà a operare sotto il comando delle guardie di frontiera di un Paese che non è vincolato dalle “regole” europee. Come può Frontex garantire di non essere coinvolta in operazioni che violano le norme fondamentali del diritto comunitario, se determinate azioni non sono illegali in quel Paese? Sulla carta è possibile presentare un reclamo a Frontex, ma poi nella pratica questo strumento in quali termini sarebbe accessibile ed efficace?

      Un anno dopo le dimissioni dell’ex direttore Leggeri ritiene che Frontex si sia pienamente assunta la responsabilità di quanto accaduto? Può davvero, secondo lei, diventare un attore affidabile per l’Ue?
      TS Prima devono accadere molte cose. Non abbiamo ancora visto una riforma fondamentale: c’è ancora un forte bisogno di maggiore trasparenza, di un atteggiamento più fermo nei confronti degli Stati membri ospitanti e di un uso conseguente dell’articolo 46 che prevede la sospensione delle operazioni in caso di violazioni dei diritti umani (abbiamo già raccontato il ruolo dell’Agenzia nei respingimenti tra Grecia e Turchia, ndr). Questi problemi saranno ovviamente esacerbati nella cooperazione con i Paesi terzi, perché la responsabilità sarà ancora più difficile da raggiungere.

      https://altreconomia.it/i-rischi-della-presenza-di-frontex-in-africa-tanto-potere-poca-responsa

    • «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare». La missione di ASGI in Senegal e Mauritania

      Lo scorso 29 marzo è stato pubblicato il rapporto «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare» (https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania), frutto del sopralluogo giuridico effettuato tra il 7 e il 13 maggio 2022 da una delegazione di ASGI composta da Alice Fill, Lorenzo Figoni, Matteo Astuti, Diletta Agresta, Adelaide Massimi (avvocate e avvocati, operatori e operatrici legali, ricercatori e ricercatrici).

      Il sopralluogo aveva l’obiettivo di analizzare lo sviluppo delle politiche di esternalizzazione del controllo della mobilità e di blocco delle frontiere implementate dall’Unione Europea in Mauritania e in Senegal – due paesi a cui, come la Turchia o gli stati balcanici più orientali, gli stati membri hanno delegato la gestione dei flussi migratori concordando politiche sempre più ostacolanti per lo spostamento delle persone.

      Nel corso del sopralluogo sono stati intervistati, tra Mauritania e Senegal, più di 40 interlocutori afferenti a istituzioni, società civile, popolazione migrante e organizzazioni, tra cui OIM, UNHCR, delegazioni dell’UE. Intercettare questi soggetti ha consentito ad ASGI di andare oltre le informazioni vincolate all’ufficialità delle dichiarazioni pubbliche e di approfondire le pratiche illegittime portate avanti su questi territori.

      Il report parte dalle già assodate intenzioni di collaborazione tra l’Unione Europea e le autorità senegalesi e mauritane – una collaborazione che in entrambi i paesi sembra connotata nel senso del controllo e della sorveglianza; per quanto riguarda il Senegal, si fa menzione del ben noto status agreement, proposto nel febbraio 2022 a Dakar dalla Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson, con il quale si intende estendere il controllo di Frontex in Senegal.

      L’obiettivo di tale accordo era il controllo della cosiddetta rotta delle Canarie, che tra il 2018 e il 2022 è stata sempre più battuta. Sebbene la proposta abbia generato accese discussioni nella società civile senegalese, preoccupata all’idea di cedere parte della sovranità del paese sul controllo delle frontiere esterne, con tale accordo, elaborato con un disegno molto simile a quello che regola le modalità di intervento di Frontex nei Balcani, si legittimerebbe ufficialmente l’attività di controllo dell’agenzia UE in paesi terzi, e in particolare fuori dal continente europeo.

      Per quanto riguarda la Mauritania, si menziona l’Action Plan pubblicato da Frontex il 7 giugno 2022, con il quale si prospetta una possibilità di collaborare operativamente sul territorio mauritano, in particolare per lo sviluppo di governance in materia migratoria.

      Senegal

      Sin dai primi anni Duemila, il dialogo tra istituzioni europee e senegalesi è stato focalizzato sulle politiche di riammissione dei cittadini senegalesi presenti in UE in maniera irregolare e dei cosiddetti ritorni volontari, le politiche di gestione delle frontiere senegalesi e il controllo della costa, la promozione di una legislazione anti-trafficking e anti-smuggling. Tutto questo si è intensificato quando, a partire dal 2018, la rotta delle Canarie è tornata a essere una rotta molto percorsa. L’operatività delle agenzie europee in Senegal per la gestione delle migrazioni si declina principalmente nei seguenti obiettivi:

      1. Monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime. Il memorandum firmato nel 2006 da Senegal e Spagna ha sancito la collaborazione ufficiale tra le forze di polizia europee e quelle senegalesi in operazioni congiunte di pattugliamento; a questo si aggiunge, sempre nello stesso anno, una presenza sempre più intensiva di Frontex al largo delle coste senegalesi.

      2. Lotta alla tratta e al traffico. Su questo fronte dell’operatività congiunta tra forze senegalesi ed europee, la normativa di riferimento è la legge n. 06 del 10 maggio 2005, che offre delle direttive per il contrasto della tratta di persone e del traffico. Tale documento, non distinguendo mai fra “tratta” e “traffico”, di fatto criminalizza la migrazione irregolare tout court, dal momento che viene utilizzato in maniera estensiva (e arbitraria) come strumento di controllo e di repressione della mobilità – fu utilizzato, ad esempio, per accusare di traffico di esseri umani un padre che aveva imbarcato suo figlio su un mezzo che poi naufragato.

      Il sistema di asilo in Senegal

      Il Senegal aderisce alla Convenzione del 1951 sullo status de rifugiati e del relativo Protocollo del 1967; la valutazione delle domande di asilo fa capo alla Commissione Nazionale di Eleggibilità (CNE), che al deposito della richiesta di asilo emette un permesso di soggiorno della durata di 3 mesi, rinnovabile fino all’esito dell’audizione di fronte alla CNE; l’esito della CNE è ricorribile in primo grado presso la Commissione stessa e, nel caso di ulteriore rifiuto, presso il Presidente della Repubblica. Quando il richiedente asilo depone la propria domanda, subentra l’UNHCR, che nel paese è molto presente e finanzia ONG locali per fornire assistenza.

      Il 5 aprile 2022 l’Assemblea Nazionale senegalese ha approvato una nuova legge sullo status dei rifugiati e degli apolidi, una legge che, stando a diverse associazioni locali, sulla carta estenderebbe i diritti cui i rifugiati hanno accesso; tuttavia, le stesse associazioni temono che a tale miglioramento possa non seguire un’applicazione effettiva della normativa.
      Mauritania

      Data la collocazione geografica del paese, a ridosso dell’Atlantico e delle isole Canarie, in prossimità di paesi ad alto indice di emigrazione (Senegal, Mali, Marocco), la Mauritania rappresenta un territorio strategico per il monitoraggio dei flussi migratori diretti in Europa. Pertanto, analogamente a quanto avvenuto in Senegal, anche in Mauritania la Spagna ha proceduto a rafforzare la cooperazione in tema di politiche migratorie e di gestione del controllo delle frontiere e a incrementare la presenta e l’impegno di attori esterni – in primis di agenzie quali Frontex – per interventi di contenimento dei flussi e di riammissione di cittadini stranieri in Mauritania.

      Relativamente alla Mauritania, l’obiettivo principale delle istituzioni europee sembra essere la prevenzione dell’immigrazione lungo la rotta delle Canarie. La normativa di riferimento è l’Accordo di riammissione bilaterale firmato con la Spagna nel luglio 2003. Con tale accordo, la Spagna può chiedere alla Mauritania di riammettere sul proprio territorio cittadini mauritani e non solo, anche altri cittadini provenienti da paesi terzi che “si presume” siano transitati per la Mauritania prima di entrare irregolarmente in Spagna. Oltre a tali interventi, il report di ASGI menziona l’Operazione Hera di Frontex e vari interventi di cooperazione allo sviluppo promossi dalla Spagna “con finalità tutt’altro che umanitarie”, bensì di gestione della mobilità.

      In tale regione, nella fase degli sbarchi risulta molto dubbio il ruolo giocato da organizzazioni come OIM e UNHCR, poiché non è codificato; interlocutori diversi hanno fornito informazioni contrastanti sulla disponibilità di UNHCR a intervenire in supporto e su segnalazione delle ONG presenti al momento dello sbarco. In ogni caso, se effettivamente UNHCR fosse assente agli sbarchi, ciò determinerebbe una sostanziale impossibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale da parte di qualsiasi potenziale richiedente asilo che venga intercettato in mare.

      Anche in questo territorio la costruzione della figura del “trafficante” diventa un dispositivo di criminalizzazione e repressione della mobilità sulla rotta atlantica, strumentale alla soddisfazione di richieste europee.
      La detenzione dei cittadini stranieri

      Tra Nouakchott e Nouadhibou vi sono tre centri di detenzione per persone migranti; uno di questi (il Centro di Detenzione di Nouadhibou 2 (anche detto “El Guantanamito”), venne realizzato grazie a dei fondi di un’agenzia di cooperazione spagnola. Sovraffollamento, precarietà igienico-sanitaria e impossibilità di accesso a cure e assistenza legale hanno caratterizzato tali centri. Quando El Guantanamito fu chiuso, i commissariati di polizia sono diventati i principali luoghi deputati alla detenzione dei cittadini stranieri; in tali centri, vengono detenute non solo le persone intercettate in prossimità delle coste mauritane, ma anche i cittadini stranieri riammessi dalla Spagna, e anche le persone presenti irregolarmente su territorio mauritano. Risulta delicato il tema dell’accesso a tali commissariati, dal momento che il sopralluogo ha rilevato che le ONG non hanno il permesso di entrarvi, mentre le organizzazioni internazionali sì – ciò nonostante, nessuna delle persone precedentemente sottoposte a detenzione con cui la delegazione ASGI ha avuto modo di interloquire ha dichiarato di aver riscontrato la presenza di organizzazioni all’interno di questi centri.

      La detenzione amministrativa risulta essere “un tassello essenziale della politica di contenimento dei flussi di cittadini stranieri in Mauritania”. Il passaggio successivo alla detenzione delle persone migranti è l’allontanamento, che si svolge in forma di veri e propri respingimenti sommari e informali, senza che i migranti siano messi nelle condizioni né di dichiarare la propria nazionalità né di conoscere la procedura di ritorno volontario.
      Il ruolo delle organizzazioni internazionali in Mauritania

      OIM riveste un ruolo centrale nel panorama delle politiche di esternalizzazione e di blocco dei cittadini stranieri in Mauritania, tramite il supporto delle autorità di pubblica sicurezza mauritane nello sviluppo di politiche di contenimento della libertà di movimento – strategie e interventi che suggeriscono una connotazione securitaria della presenza dell’associazione nel paese, a scapito di una umanitaria.

      Nonostante anche la Mauritania sia firmataria della Convenzione di Ginevra, non esiste a oggi una legge nazionale sul diritto di asilo nel paese. UNHCR testimonia come dal 2015 esiste un progetto di legge sull’asilo, ma che questo sia tuttora “in attesa di adozione”.

      Pertanto, le procedure di asilo in Mauritania sono gestite interamente da UNHCR. Tali procedure si differenziano a seconda della pericolosità delle regioni di provenienza delle persone migranti; in particolare, i migranti maliani provenienti dalle regioni considerate più pericolose vengono registrati come rifugiati prima facie, quanto non accade invece per i richiedenti asilo provenienti dalle aree urbane, per loro, l’iter dell’asilo è ben più lungo, e prevede una sorta di “pre-pre-registrazione” presso un ente partner di UNHCR, cui segue una pre-registrazione accordata da UNHCR previo appuntamento, e solo in seguito alla registrazione viene riconosciuto un certificato di richiesta di asilo, valido per sei mesi, in attesa di audizione per la determinazione dello status di rifugiato.

      Le tempistiche per il riconoscimento di protezione, poi, sono differenti a seconda del grado di vulnerabilità del richiedente e in taluni casi potevano condurre ad anni e anni di attesa. Alla complessità della procedura si aggiunge che non tutti i potenziali richiedenti asilo possono accedervi – ad esempio, chi proviene da alcuni stati, come la Sierra Leone, considerati “paesi sicuri” secondo una categorizzazione fornita dall’Unione Africana.
      Conclusioni

      In fase conclusiva, il report si sofferma sul ruolo fondamentale giocato dall’Unione Europea nel forzare le politiche senegalesi e mauritane nel senso della sicurezza e del contenimento, a scapito della tutela delle persone migranti nei loro diritti fondamentali. Le principali preoccupazioni evidenziate sono rappresentate dalla prospettiva della conclusione dello status agreement tra Frontex e i due paesi, perché tale ratifica ufficializzerebbe non solo la presenza, ma un ruolo legittimo e attivo di un’agenzia europea nel controllo di frontiere che si dispiegano ben oltre i confini territoriali comunitari, ben oltre le acque territoriali, spingendo le maglie del controllo dei flussi fin dentro le terre di quegli stati da cui le persone fuggono puntando all’Unione Europea. La delegazione, tuttavia, sottolinea che vi sono aree in cui la società civile senegalese e mauritana risulta particolarmente politicizzata, dunque in grado di esprimere insofferenza o aperta contrarietà nei confronti delle ingerenze europee nei loro paesi. Infine, da interviste, colloqui e incontri con diretti interessati e testimoni, il ruolo di organizzazioni internazionali come le citate OIM e UNHCR appare nella maggior parte dei casi “fluido o sfuggevole”; una prospettiva, questa, che sembra confermare l’ambivalenza delle grandi organizzazioni internazionali, soggetti messi innanzitutto al servizio degli interessi delle istituzioni europee.

      Il report si conclude auspicando una prosecuzione di studio e analisi al fine di continuare a monitorare gli sviluppi politici e legislativi che legano l’Unione Europea e questi territori nella gestione operativa delle migrazioni.

      https://www.meltingpot.org/2023/05/un-laboratorio-di-esternalizzazione-tra-frontiere-di-terra-e-di-mare

    • Pubblicato il rapporto #ASGI della missione in Senegal e Mauritania

      Il Senegal e la Mauritania sono paesi fondamentali lungo la rotta che conduce dall’Africa occidentale alle isole Canarie. Nel 2020, dopo alcuni anni in cui la rotta era stata meno utilizzata, vi è stato un incremento del 900% degli arrivi rispetto all’anno precedente. Il dato ha portato la Spagna e le istituzioni europee a concentrarsi nuovamente sui due paesi. La cosiddetta Rotta Atlantica, che a partire dal 2006 era stata teatro di sperimentazioni di pratiche di contenimento e selezione della mobilità e di delega dei controlli alle frontiere e del diritto di asilo, è tornata all’attenzione internazionale: da febbraio 2022 sono in corso negoziazioni per la firma di un accordo di status con Frontex per permettere il dispiegamento dei suoi agenti in Senegal e Mauritania.

      Al fine di indagare l’attuazione delle politiche di esternalizzazione e i loro effetti, dal 7 al 13 maggio 2022 un gruppo di socз ASGI – avvocatз, operatorз legali e ricercatorз – ha effettuato un sopralluogo giuridico a Nouakchott, Mauritania e a Dakar, Senegal.

      Il report restituisce il quadro ricostruito nel corso del sopralluogo, durante il quale è stato possibile intervistare oltre 45 interlocutori tra istituzioni, organizzazioni internazionali, ONG e persone migranti.

      https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania
      #rapport

    • Au Sénégal, les desseins de Frontex se heurtent aux résistances locales

      Tout semblait devoir aller très vite : début 2022, l’Union européenne propose de déployer sa force anti-migration Frontex sur les côtes sénégalaises, et le président Macky Sall y semble favorable. Mais c’était compter sans l’opposition de la société civile, qui refuse de voir le Sénégal ériger des murs à la place de l’Europe.

      Agents armés, navires, drones et systèmes de sécurité sophistiqués : Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes créée en 2004, a sorti le grand jeu pour dissuader les Africains de prendre la direction des îles Canaries – et donc de l’Europe –, l’une des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Cet arsenal, auquel s’ajoutent des programmes de formation de la police aux frontières, est la pierre angulaire de la proposition faite début 2022 par le Conseil de l’Europe au Sénégal. Finalement, Dakar a refusé de la signer sous la pression de la société civile, même si les négociations ne sont pas closes. Dans un climat politique incandescent à l’approche de l’élection présidentielle de 2024, le président sénégalais, Macky Sall, soupçonné de vouloir briguer un troisième mandat, a préféré prendre son temps et a fini par revenir sur sa position initiale, qui semblait ouverte à cette collaboration. Dans le même temps, la Mauritanie voisine, elle, a entamé des négociations avec Bruxelles.

      L’histoire débute le 11 février 2022 : lors d’une conférence de presse à Dakar, la commissaire aux Affaires intérieures du Conseil de l’Europe, Ylva Johansson, officialise la proposition européenne de déployer Frontex sur les côtes sénégalaises. « C’est mon offre et j’espère que le gouvernement sénégalais sera intéressé par cette opportunité unique », indique-t-elle. En cas d’accord, elle annonce que l’agence européenne sera déployée dans le pays au plus tard au cours de l’été 2022. Dans les jours qui ont suivi l’annonce de Mme Johansson, plusieurs associations de la société civile sénégalaise ont organisé des manifestations et des sit-in à Dakar contre la signature de cet accord, jugé contraire aux intérêts nationaux et régionaux.

      Une frontière déplacée vers la côte sénégalaise

      « Il s’agit d’un #dispositif_policier très coûteux qui ne permet pas de résoudre les problèmes d’immigration tant en Afrique qu’en Europe. C’est pourquoi il est impopulaire en Afrique. Frontex participe, avec des moyens militaires, à l’édification de murs chez nous, en déplaçant la frontière européenne vers la côte sénégalaise. C’est inacceptable, dénonce Seydi Gassama, le directeur exécutif d’Amnesty International au Sénégal. L’UE exerce une forte pression sur les États africains. Une grande partie de l’aide européenne au développement est désormais conditionnée à la lutte contre la migration irrégulière. Les États africains doivent pouvoir jouer un rôle actif dans ce jeu, ils ne doivent pas accepter ce qu’on leur impose, c’est-à-dire des politiques contraires aux intérêts de leurs propres communautés. » Le défenseur des droits humains rappelle que les transferts de fonds des migrants pèsent très lourd dans l’économie du pays : selon les chiffres de la Banque mondiale, ils ont atteint 2,66 milliards de dollars (2,47 milliards d’euros) au Sénégal en 2021, soit 9,6 % du PIB (presque le double du total de l’aide internationale au développement allouée au pays, de l’ordre de 1,38 milliard de dollars en 2021). « Aujourd’hui, en visitant la plupart des villages sénégalais, que ce soit dans la région de Fouta, au Sénégal oriental ou en Haute-Casamance, il est clair que tout ce qui fonctionne – hôpitaux, dispensaires, routes, écoles – a été construit grâce aux envois de fonds des émigrés », souligne M. Gassama.

      « Quitter son lieu de naissance pour aller vivre dans un autre pays est un droit humain fondamental, consacré par l’article 13 de la Convention de Genève de 1951, poursuit-il. Les sociétés capitalistes comme celles de l’Union européenne ne peuvent pas dire aux pays africains : “Vous devez accepter la libre circulation des capitaux et des services, alors que nous n’acceptons pas la libre circulation des travailleurs”. » Selon lui, « l’Europe devrait garantir des routes migratoires régulières, quasi inexistantes aujourd’hui, et s’attaquer simultanément aux racines profondes de l’exclusion, de la pauvreté, de la crise démocratique et de l’instabilité dans les pays d’Afrique de l’Ouest afin d’offrir aux jeunes des perspectives alternatives à l’émigration et au recrutement dans les rangs des groupes djihadistes ».

      Depuis le siège du Forum social sénégalais (FSS), à Dakar, Mamadou Mignane Diouf abonde : « L’UE a un comportement inhumain, intellectuellement et diplomatiquement malhonnête. » Le coordinateur du FSS cite le cas récent de l’accueil réservé aux réfugiés ukrainiens ayant fui la guerre, qui contraste avec les naufrages incessants en Méditerranée et dans l’océan Atlantique, et avec la fermeture des ports italiens aux bateaux des ONG internationales engagées dans des opérations de recherche et de sauvetage des migrants. « Quel est ce monde dans lequel les droits de l’homme ne sont accordés qu’à certaines personnes en fonction de leur origine ?, se désole-t-il. À chaque réunion internationale sur la migration, nous répétons aux dirigeants européens que s’ils investissaient un tiers de ce qu’ils allouent à Frontex dans des politiques de développement local transparentes, les jeunes Africains ne seraient plus contraints de partir. » Le budget total alloué à Frontex, en constante augmentation depuis 2016, a dépassé les 754 millions d’euros en 2022, contre 535 millions l’année précédente.
      Une des routes migratoires les plus meurtrières

      Boubacar Seye, directeur de l’ONG Horizon sans Frontières, parle de son côté d’une « gestion catastrophique et inhumaine des frontières et des phénomènes migratoires ». Selon les estimations de l’ONG espagnole Caminando Fronteras, engagée dans la surveillance quotidienne de ce qu’elle appelle la « nécro-frontière ouest-euro-africaine », entre 2018 et 2022, 7 865 personnes originaires de 31 pays différents, dont 1 273 femmes et 383 enfants, auraient trouvé la mort en tentant de rejoindre les côtes espagnoles des Canaries à bord de pirogues en bois et de canots pneumatiques cabossés – soit une moyenne de 6 victimes chaque jour. Il s’agit de l’une des routes migratoires les plus dangereuses et les plus meurtrières au monde, avec le triste record, ces cinq dernières années, d’au moins 250 bateaux qui auraient coulé avec leurs passagers à bord. Le dernier naufrage connu a eu lieu le 2 octobre 2022. Selon le récit d’un jeune Ivoirien de 27 ans, seul survivant, le bateau a coulé après neuf jours de mer, emportant avec lui 33 vies.

      Selon les chiffres fournis par le ministère espagnol de l’Intérieur, environ 15 000 personnes sont arrivées aux îles Canaries en 2022 – un chiffre en baisse par rapport à 2021 (21 000) et 2020 (23 000). Et pour cause : la Guardia Civil espagnole a déployé des navires et des hélicoptères sur les côtes du Sénégal et de la Mauritanie, dans le cadre de l’opération « Hera » mise en place dès 2006 (l’année de la « crise des pirogues ») grâce à des accords de coopération militaire avec les deux pays africains, et en coordination avec Frontex.

      « Les frontières de l’Europe sont devenues des lieux de souffrance, des cimetières, au lieu d’être des entrelacs de communication et de partage, dénonce Boubacar Seye, qui a obtenu la nationalité espagnole. L’Europe se barricade derrière des frontières juridiques, politiques et physiques. Aujourd’hui, les frontières sont équipées de moyens de surveillance très avancés. Mais, malgré tout, les naufrages et les massacres d’innocents continuent. Il y a manifestement un problème. » Une question surtout le hante : « Combien d’argent a-t-on injecté dans la lutte contre la migration irrégulière en Afrique au fil des ans ? Il n’y a jamais eu d’évaluation. Demander publiquement un audit transparent, en tant que citoyen européen et chercheur, m’a coûté la prison. » L’activiste a été détenu pendant une vingtaine de jours en janvier 2021 au Sénégal pour avoir osé demander des comptes sur l’utilisation des fonds européens. De la fenêtre de son bureau, à Dakar, il regarde l’océan et s’alarme : « L’ère post-Covid et post-guerre en Ukraine va générer encore plus de tensions géopolitiques liées aux migrations. »
      Un outil policier contesté à gauche

      Bruxelles, novembre 2022. Nous rencontrons des professeurs, des experts des questions migratoires et des militants belges qui dénoncent l’approche néocoloniale des politiques migratoires de l’Union européenne (UE). Il est en revanche plus difficile d’échanger quelques mots avec les députés européens, occupés à courir d’une aile à l’autre du Parlement européen, où l’on n’entre que sur invitation. Quelques heures avant la fin de notre mission, nous parvenons toutefois à rencontrer Amandine Bach, conseillère politique sur les questions migratoires pour le groupe parlementaire de gauche The Left. « Nous sommes le seul parti qui s’oppose systématiquement à Frontex en tant qu’outil policier pour gérer et contenir les flux migratoires vers l’UE », affirme-t-elle.

      Mme Bach souligne la différence entre « statut agreement » (accord sur le statut) et « working arrangement » (arrangement de travail) : « Il ne s’agit pas d’une simple question juridique. Le premier, c’est-à-dire celui initialement proposé au Sénégal, est un accord formel qui permet à Frontex un déploiement pleinement opérationnel. Il est négocié par le Conseil de l’Europe, puis soumis au vote du Parlement européen, qui ne peut que le ratifier ou non, sans possibilité de proposer des amendements. Le second, en revanche, est plus symbolique qu’opérationnel et offre un cadre juridique plus simple. Il n’est pas discuté par le Parlement et n’implique pas le déploiement d’agents et de moyens, mais il réglemente la coopération et l’échange d’informations entre l’agence européenne et les États tiers. » Autre différence substantielle : seul l’accord sur le statut peut donner – en fonction de ce qui a été négocié entre les parties – une immunité partielle ou totale aux agents de Frontex sur le sol non européen. L’agence dispose actuellement de tels accords dans les Balkans, avec des déploiements en Serbie et en Albanie (d’autres accords seront bientôt opérationnels en Macédoine du Nord et peut-être en Bosnie, pays avec lequel des négociations sont en cours).

      Cornelia Ernst (du groupe parlementaire The Left), la rapporteuse de l’accord entre Frontex et le Sénégal nommée en décembre 2022, va droit au but : « Je suis sceptique, j’ai beaucoup de doutes sur ce type d’accord. La Commission européenne ne discute pas seulement avec le Sénégal, mais aussi avec la Mauritanie et d’autres pays africains. Le Sénégal est un pays de transit pour les réfugiés de toute l’Afrique de l’Ouest, et l’UE lui offre donc de l’argent dans l’espoir qu’il accepte d’arrêter les réfugiés. Nous pensons que cela met en danger la liberté de circulation et d’autres droits sociaux fondamentaux des personnes, ainsi que le développement des pays concernés, comme cela s’est déjà produit au Soudan. » Et d’ajouter : « J’ai entendu dire que le Sénégal n’est pas intéressé pour le moment par un “statut agreement”, mais n’est pas fermé à un “working arrangement” avec Frontex, contrairement à la Mauritanie, qui négocie un accord substantiel qui devrait prévoir un déploiement de Frontex. »

      Selon Mme Ernst, la stratégie de Frontex consiste à envoyer des agents, des armes, des véhicules, des drones, des bateaux et des équipements de surveillance sophistiqués, tels que des caméras thermiques, et à fournir une formation aux gardes-frontières locaux. C’est ainsi qu’ils entendent « protéger » l’Europe en empêchant les réfugiés de poursuivre leur voyage. La question est de savoir ce qu’il adviendra de ces réfugiés bloqués au Sénégal ou en Mauritanie en cas d’accord.
      Des rapports accablants

      Principal outil de dissuasion développé par l’UE en réponse à la « crise migratoire » de 2015-2016, Frontex a bénéficié en 2019 d’un renforcement substantiel de son mandat, avec le déploiement de 10 000 gardes-frontières prévu d’ici à 2027 (ils sont environ 1 500 aujourd’hui) et des pouvoirs accrus en matière de coopération avec les pays non européens, y compris ceux qui ne sont pas limitrophes de l’UE. Mais les résultats son maigres. Un rapport de la Cour des comptes européenne d’août 2021 souligne « l’inefficacité de Frontex dans la lutte contre l’immigration irrégulière et la criminalité transfrontalière ». Un autre rapport de l’Office européen de lutte antifraude (Olaf), publié en mars 2022, a quant à lui révélé des responsabilités directes et indirectes dans des « actes de mauvaise conduite » à l’encontre des exilés, allant du harcèlement aux violations des droits fondamentaux en Grèce, en passant par le refoulement illégal de migrants dans le cadre d’opérations de rapatriement en Hongrie.

      Ces rapports pointent du doigt les plus hautes sphères de Frontex, tout comme le Frontex Scrutiny Working Group (FSWG), une commission d’enquête créée en février 2021 par le Parlement européen dans le but de « contrôler en permanence tous les aspects du fonctionnement de Frontex, y compris le renforcement de son rôle et de ses ressources pour la gestion intégrée des frontières et l’application correcte du droit communautaire ». Ces révélations ont conduit, en mars 2021, à la décision du Parlement européen de suspendre temporairement l’extension du budget de Frontex et, en mai 2022, à la démission de Fabrice Leggeri, qui était à la tête de l’agence depuis 2015.
      Un tabou à Dakar

      « Actuellement aucun cadre juridique n’a été défini avec un État africain », affirme Frontex. Si dans un premier temps l’agence nous a indiqué que les discussions avec le Sénégal étaient en cours – « tant que les négociations sur l’accord de statut sont en cours, nous ne pouvons pas les commenter » (19 janvier 2023) –, elle a rétropédalé quelques jours plus tard en précisant que « si les négociations de la Commission européenne avec le Sénégal sur un accord de statut n’ont pas encore commencé, Frontex est au courant des négociations en cours entre la Commission européenne et la Mauritanie » (1er février 2023).

      Interrogé sur les négociations avec le Sénégal, la chargée de communication de Frontex, Paulina Bakula, nous a envoyé par courriel la réponse suivant : « Nous entretenons une relation de coopération étroite avec les autorités sénégalaises chargées de la gestion des frontières et de la lutte contre la criminalité transfrontalière, en particulier avec la Direction générale de la police nationale, mais aussi avec la gendarmerie, l’armée de l’air et la marine. » En effet, la coopération avec le Sénégal a été renforcée avec la mise en place d’un officier de liaison Frontex à Dakar en janvier 2020. « Compte tenu de la pression continue sur la route Canaries-océan Atlantique, poursuit Paulina Bakula, le Sénégal reste l’un des pays prioritaires pour la coopération opérationnelle de Frontex en Afrique de l’Ouest. Cependant, en l’absence d’un cadre juridique pour la coopération avec le Sénégal, l’agence a actuellement des possibilités très limitées de fournir un soutien opérationnel. »

      Interpellée sur la question des droits de l’homme en cas de déploiement opérationnel en Afrique de l’Ouest, Paulina Bakula écrit : « Si l’UE conclut de tels accords avec des partenaires africains à l’avenir, il incombera à Frontex de veiller à ce qu’ils soient mis en œuvre dans le plein respect des droits fondamentaux et que des garanties efficaces soient mises en place pendant les activités opérationnelles. »

      Malgré des demandes d’entretien répétées durant huit mois, formalisées à la fois par courriel et par courrier, aucune autorité sénégalaise n’a accepté de répondre à nos questions. « Le gouvernement est conscient de la sensibilité du sujet pour l’opinion publique nationale et régionale, c’est pourquoi il ne veut pas en parler. Et il ne le fera probablement pas avant les élections présidentielles de 2024 », confie, sous le couvert de l’anonymat, un homme politique sénégalais. Il constate que la question migratoire est devenue, ces dernières années, autant un ciment pour la société civile qu’un tabou pour la classe politique ouest-africaine.

      https://afriquexxi.info/Au-Senegal-les-desseins-de-Frontex-se-heurtent-aux-resistances-locales
      #conditionnalité #conditionnalité_de_l'aide_au_développement #remittances #résistance

    • What is Frontex doing in Senegal? Secret services also participate in their network of “#Risk_Analysis_Cells

      Frontex has been allowed to conclude stationing agreements with third countries since 2016. However, the government in Dakar does not currently want to allow EU border police into the country. Nevertheless, Frontex has been active there since 2006.

      When Frontex was founded in 2004, the EU states wrote into its border agency’s charter that it could only be deployed within the Union. With developments often described as the “refugee crisis,” that changed in the new 2016 regulation, which since then has allowed the EU Commission to negotiate agreements with third countries to send Frontex there. So far, four Balkan states have decided to let the EU migration defense agency into the country – Bosnia and Herzegovina could become the fifth candidate.

      Frontex also wanted to conclude a status agreement with Senegal based on this model (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t). In February 2022, the EU Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, announced that such a treaty would be ready for signing by the summer (https://www.france24.com/en/live-news/20220211-eu-seeks-to-deploy-border-agency-to-senegal). However, this did not happen: Despite high-level visits from the EU (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t), the government in Dakar is apparently not even prepared to sign a so-called working agreement. It would allow authorities in the country to exchange personal data with Frontex.

      Senegal is surrounded by more than 2,600 kilometers of external border; like neighboring Mali, Gambia, Guinea and Guinea-Bissau, the government has joined the Economic Community of West African States (ECOWAS). Similar to the Schengen area, the agreement also regulates the free movement of people and goods in a total of 15 countries. Senegal is considered a safe country of origin by Germany and other EU member states like Luxembourg.

      Even without new agreements, Frontex has been active on migration from Senegal practically since its founding: the border agency’s first (and, with its end in 2019, longest) mission started in 2006 under the name “#Hera” between West Africa and the Canary Islands in the Atlantic (https://www.statewatch.org/media/documents/analyses/no-307-frontex-operation-hera.pdf). Border authorities from Mauritania were also involved. The background to this was the sharp increase in crossings from the countries at the time, which were said to have declined successfully under “Hera.” For this purpose, Frontex received permission from Dakar to enter territorial waters of Senegal with vessels dispatched from member states.

      Senegal has already been a member of the “#Africa-Frontex_Intelligence_Community” (#AFIC) since 2015. This “community”, which has been in existence since 2010, aims to improve Frontex’s risk analysis and involves various security agencies to this end. The aim is to combat cross-border crimes, which include smuggling as well as terrorism. Today, 30 African countries are members of AFIC. Frontex has opened an AFIC office in five of these countries, including Senegal since 2019 (https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/frontex-opens-risk-analysis-cell-in-senegal-6nkN3B). The tasks of the Frontex liaison officer stationed there include communicating with the authorities responsible for border management and assisting with deportations from EU member states.

      The personnel of the national “Risk Analysis Cells” are trained by Frontex. Their staff are to collect strategic data on crime and analyze their modus operandi, EU satellite surveillance is also used for this purpose (https://twitter.com/matthimon/status/855425552148295680). Personal data is not processed in the process. From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “#Pre-frontier_information_picture.”

      Officially, only national law enforcement agencies participate in the AFIC network, provided they have received a “mandate for border management” from their governments. In Senegal, these are the National Police and the Air and Border Police, in addition to the “Department for Combating Trafficking in Human Beings and Similar Practices.” According to the German government, the EU civil-military missions in Niger and Libya are also involved in AFIC’s work.

      Information is not exchanged with intelligence services “within the framework of AFIC activities by definition,” explains the EU Commission in its answer to a parliamentary question. However, the word “by definition” does not exclude the possibility that they are nevertheless involved and also contribute strategic information. In addition, in many countries, police authorities also take on intelligence activities – quite differently from how this is regulated in Germany, for example, in the separation requirement for these authorities. However, according to Frontex’s response to a FOIA request, intelligence agencies are also directly involved in AFIC: Morocco and Côte d’Ivoire send their domestic secret services to AFIC meetings, and a “#Center_for_Monitoring_and_Profiling” from Senegal also participates.

      Cooperation with Senegal is paying off for the EU: Since 2021, the total number of arrivals of refugees and migrants from Senegal via the so-called Atlantic route as well as the Western Mediterranean route has decreased significantly. The recognition rate for asylum seekers from the country is currently around ten percent in the EU.

      https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
      #services_de_renseignement #données #services_secrets

  • #Die le dimanche 9 avril : plantation massive de patates pour défendre les terres à Chamarges
    https://ricochets.cc/Die-le-dimanche-9-avril-plantation-massive-de-patates-pour-defendre-les-te

    Communiqué de La Tulipe Sauvage et de la Conf À Die, les travaux d’extension de la Zone d’Activité de Chamarges

    sont sur le point de commencer.

    LES ENGINS DE CHANTIER VONT BIENTÔT ARRIVER ! À l’appel de la Confédération paysanne et de La Tulipe Sauvage !

    DIMANCHE 9 AVRIL à 11h !

    ON RETOURNE LA TERRE !

    ET ON PLANTE ENCORE PLUS DE PATATES Démontrons par notre détermination

    qu’UN AUTRE FUTUR EST POSSIBLE POUR CES TERRES !

    Venez avec vos serfouettes, houes, fourches-bêches, motoculteurs, chevaux, TRACTEURS ! (...) #Les_Articles

    / Die, #Agriculture, #Ecologie, #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle

  • Solidarité : la France à fond la caisse | L’Humanité
    https://www.humanite.fr/social-eco/reforme-des-retraites/solidarite-la-france-fond-la-caisse-789531

    « La première fois, j’en aurais pleuré, s’émeut Florent Anger, chef de gare à Saint-Malo et élu CGT au comité social et économique des TER de Bretagne. C’est beau de voir les mondes ouvrier et paysan unis dans la lutte. » Une rencontre tout sauf symbolique, selon lui : « Vous repartez avec un cageot qui vous aurait coûté 60 euros dans une Biocoop ! Cela permet de nourrir sa famille le week-end sans faire les courses, ce qui n’est pas négligeable quand vous avez cumulé quinze jours de grève… »

    Tous les militants décrivent un élan de #générosité inédit. L’explication réside dans le rejet massif de la réforme, qui transcende en partie les clivages de classe et de génération, et met en mouvement grandes villes et villes moyennes. Les soirées de solidarité avec les grévistes se déroulent ainsi aux quatre coins du pays, dans les métropoles comme dans les villages reculés.

    #résistance #solidarité #grève #blocages

  • L’Utopie et la vie ! Le Combat d’un sénateur breton contre les pesticides

    #Joël_Labbé est un homme politique dans le plus beau sens du terme : fils de paysans bretons, il a gravi un à un les échelons des responsabilités publiques, depuis sa commune de naissance Saint-Nolff – dans laquelle il réside toujours – jusqu’au Sénat, sans jamais renier ses origines populaires ni ses convictions écologistes. C’est un parcours de vie exemplaire qu’il nous invite à découvrir tout au long de ces entretiens avec la metteuse en scène Sabrina Delarue, qui l’a accompagné et mis en confiance lors de ses prises de parole en public.

    https://www.actes-sud.fr/catalogue/nature-et-environnement/lutopie-et-la-vie
    #pesticides #résistance #France #livre

  • Installations photovoltaïques mises hors réseau… à cause du soleil  Antonin Marsac - La Libre Eco

    Le retour du beau temps implique le retour des problèmes de surtension sur le réseau électrique. Les détenteurs de panneaux photovoltaïques déchantent. Encore ?

    Alors que le soleil perce les nuages et chauffe les toitures du pays, les citoyens qui ont installé des panneaux pourraient encore être “pénalisés”. Pourquoi ? Car en cas de fort ensoleillement – et nous ne sommes qu’au début du mois d’avril -, la production des milliers de panneaux du pays génère une surtension sur le “réseau basse tension” (soit le réseau 230 volts utilisé par l’ensemble des Belges). Et pour éviter une surtension trop importante, ces mêmes panneaux sont équipés d’onduleurs qui les “décrochent” du réseau le temps que l’offre et la demande se rééquilibrent.

    ”Le problème, c’est que le réseau est construit depuis des décennies sur le modèle du ’download’ et non de l’inverse. Aujourd’hui, il y a 230 000 installations en Wallonie et il y en aura 250 000 d’ici la fin de l’année. Le réseau doit pouvoir absorber cette production. Aujourd’hui, des villages entiers ne produisent plus rien entre 11h et 14h30”, avance Régis François, de l’association Beprosumer, à cause de la surproduction lors du pic d’ensoleillement.

    ”Il y a trop d’installations par rapport à la mise à jour de la capacité du réseau, au niveau des cabines, des câbles, et des capacités d’absorption en cas de surproduction” , renchérit-il.

    Peut-on dire pour autant qu’il y a trop d’installations, alors que les volontés de souveraineté énergétique les justifient ? Une réponse nuancée est nécessaire. Le problème de surtension dépend des zones dans le pays, s’il y a des éoliennes, une consommation relativement basse ou non dans les localités, et si la production nucléaire nationale est à son maximum.

    Mais ce qui agace Régis François, c’est que les panneaux soient les premiers “déconnectés”, grâce aux onduleurs. On pourrait penser que c’est pourtant la solution la plus simple : une mise hors réseau automatique, qui se déroule en cas de surtension, sans intervention humaine. “Mais cela laisse une surtension potentielle jusqu’à 10 % sur les réseaux, soit jusqu’à 253 volts, puisque c’est la marge que laissent ces onduleurs avant le décrochage. Ça peut abîmer les appareils électroniques. Et de toute façon, les panneaux photovoltaïques ont une priorité au niveau de l’injection d’électricité sur le réseau, en théorie. Et on veut que cette priorité soit respectée” , avance Régis François.

    ”Le propriétaire de panneaux est appâté mais piégé”
    Il faut dire que les détenteurs de panneaux, avec le tarif prosumer (le coût pour prélever de l’électricité sur le réseau) et les déboires des certificats verts, ont l’habitude des mauvaises nouvelles. “Clairement, le propriétaire de panneaux est appâté à court terme. Mais on le tue dès qu’il commence à s’engraisser. Le piège se referme” , déplore le président de l’association.

    ”Il faut que les autorités investissent dans le réseau, mettent des incitants, comme en Flandre, pour favoriser le stockage via des batteries domestiques. On peut également encourager le déplacement de charge. Pousser à ce que les gens fassent tourner leurs lave-vaisselles et machines à laver pendant les pics de production, soit entre 11h et 14h30.”

    Ce qui sonne la fin des compteurs bi-horaire, ceux-ci poussant à consommer et faire tourner ses machines la nuit ? “Oui. La stratégie doit être revue et elle le sera pour tout le monde. Ce qui va signer l’arrêt de mort des compteurs bi-horaire, d’ici 2024 ou 2025” , lance-t-il. Cette proposition est d’ailleurs dans les cartons, au niveau wallon.

    ”Le socle de stabilité, c’est le nucléaire”, reconnaît également le président de l’association. “La promotion des énergies renouvelables, c’est très bien. Mais bon sang, ayons une vision claire de la politique !” , lance-t-il. “Aujourd’hui, il n’y a rien de pire que la politique énergétique wallonne” , tacle encore Régis François.

    Des chiffres du nombre de personnes pénalisées ?
    C’est le grand problème : les gestionnaires de réseau n’ont pas de cadastre des installations mises hors réseau. C’est d’ailleurs pour cela que l’association Beprosumer, apprend-on justement en contactant son président à ce sujet, a mis en place une carte de Wallonie reprenant les déclarations anonymisées des citoyens qui constatent cette mise hors réseau automatique. Une communication au grand public doit être faite à ce sujet cette semaine.

    ”C’est un problème récurrent. Les installations ’décrochent’ depuis déjà 7 ou 8 ans. Il faut que le politique réagisse !”, termine Régis François.

    Source : https://www.lalibre.be/economie/mes-finances/2023/04/03/installations-photovoltaiques-mises-hors-reseau-a-cause-du-soleil-aujourdhui

    #énergie #photovoltaïque #électricité #écologie #solaire #nucléaire #transition_énergétique #environnement #économie #énergies_renouvelables #énergie_solaire #pollution #énergie_renouvelable #panneaux_solaires #agrivoltaïsme

    • Et quand le vent est un peu fort, les éoliennes sont débrayées.

      Stocker l’électricité en batterie aux moments ensoleillés, ou venteux, il faudrait que les batteries existent.
      Le cout de ces batteries est de plusieurs fois le PIB de chaque pays.

      Surtout, ne pas réfléchir ou faire un calcul simple. Cela contrarierai la #doxa.

    • Consultation populaire sur l’éolien dans l’Aisne : un raz de marée de non, Remi Vivenot

      La consultation populaire non officielle organisée dimanche 2 avril par 17 communes de l’Aisne sur l’implantation d’éoliennes dans leur secteur s’est soldée par un score de 87% de non. Un résultat net. Pour autant, la participation annoncée est plus nuancée.

      87% de non à l’implantation d’éoliennes contre 13% de oui. C’est le résultat annoncé par les 17 communes de l’Aisne organisatrices de la consultation par les maires dans un périmètre géographique allant de Fismes aux confins de la Marne jusqu’au Tardenois. Le résultat semble donc sans appel atteignant des pointes allant jusqu’à 100% de non dans le village de Dhuizel par exemple.

      Pour Patrick Fillioud, maire (divers) de Bruys, un des principaux organisateurs de cette initiative. « C’est assez clair. C’est un rejet profond ». Un choix des électeurs qui n’étonne pas Véronique Stragier, maire (divers) de Coulonges-Cohan « Ils ont exprimé leur souhait qu’il n’y ait pas d’implantation. Cette orientation-là est bien marquée. C’est flagrant. La tendance générale, c’est le non, cela ne me surprend pas ».

      Non loin de là, à Mareuil-en-Dôle où une trentaine d’éoliennes pourraient être construites à quelques encablures du village, les votants se sont prononcés à 94% contre. Maire de la commune, Régine Domingues (divers) réagit : « Moi, je suis très satisfaite du résultat de mon village. C’est représentatif. Je discute beaucoup avec les gens. Cela ne surprend pas. Les gens n’étaient pas d’accord du tout. Cela me donne la pêche même pour d’autres sujets ».
      . . . . . .

      #Démocratie #Référendum #Votation #Consultation #énergie #éoliennes #électricité #éoliennes_industrielles #résistance #énergie_éolienne #france #éolienne #énergie_renouvelable #critique_techno

      Source : https://france3-regions.francetvinfo.fr/hauts-de-france/aisne/consultation-populaire-sur-l-eolien-dans-l-aisne-un-raz

  • Examens en basque : des collégiens vont rallier Bordeaux-Bayonne à vélo pour interpeller la rectrice

    Une vingtaine d’élèves du collège Estitxu Robles de Bayonne vont parcourir à vélo la distance entre Bordeaux et Bayonne, du 18 au 22 avril, pour réclamer de pouvoir passer leurs #examens en basque.

    Le départ est donné devant le rectorat de Bordeaux, le mardi 18 avril. Une vingtaine d’élèves de 3e du collège Estitxu-Robles vont ensuite rejoindre Bayonne à vélo. L’arrivée est prévue le 22 avril à 17 heures, pour rallier la manifestation en faveur de la langue basque organisée suite à l’appel d’Euskal Konfederazioa. Ce sont les élèves eux-mêmes qui l’ont annoncé, ce mercredi 29 mars devant la sous-préfecture de Bayonne.

    Les élèves inscrits en enseignement immersif, qui ont obtenu le 17 mars dernier de pouvoir passer l’intégralité du brevet en #euskara, espèrent désormais décrocher ce droit pour les épreuves du bac. « Avant la réforme du bac, les lycéens avaient la possibilité de passer les épreuves d’histoire-géographie et de maths en basque. Mais depuis deux ans, c’est terminé », déplore le président de Seaska, Peio Jorajuria.

    « Entraver nos droits »

    Grâce à cette action, les collégiens espèrent interpeller la rectrice de l’académie de Bordeaux, Anne Bisagni-Faure. « Après une scolarité entière effectuée en euskara nous ne comprenons pas que l’on puisse autant entraver nos #droits_linguistiques lors des épreuves. L’euskara est notre langue au quotidien à l’école et il est logique que nos apprentissages soient évalués dans notre langue », ont-ils déclaré.

    « Nous savons que tant notre périple que la #lutte à venir ne seront pas de tout repos et que plusieurs années seront peut-être nécessaires mais notre vœu le plus cher serait de rentrer en Euskal Herri avec le droit de composer également le bac en euskara » ont poursuivi les collégiens d’Estitxu Robles.

    Le #cortège fera escale à La Teste, Biscarrosse, Contis et Messanges. Les adolescents seront encadrés par des enseignants et des parents tout au long du voyage.

    Ceux qui le souhaitent peuvent effectuer les derniers kilomètres à vélo avec les collégiens. Rendez-vous est donné à 16 h 30 au marché de Boucau, pour rejoindre la manifestation dans les rues de Bayonne.

    https://www.sudouest.fr/pyrenees-atlantiques/bayonne/examens-en-basque-des-collegiens-vont-rallier-bordeaux-bayonne-a-velo-pour-

    #langues #France #langues_régionales #basque #résistance

  • La Macronie et la tentation de l’extrême banalisation
    https://www.politis.fr/articles/2023/04/la-macronie-et-la-tentation-de-lextreme-banalisation-rn

    En diabolisant systématiquement les gauches, Emmanuel Macron, le gouvernement et la majorité présidentielle en viennent à acter la normalisation du Rassemblement national. Un pari dangereux.

    C’est une stratégie complètement dingue : « Ce qui nous arrangerait, c’est une dissolution et un score suffisamment haut pour le RN, pour qu’on puisse mettre Le Pen à Matignon. Qu’on montre qu’elle est incompétente, comme ça on la décrédibilise pour 2027. Et elle devient inopérante. Donc plus de problème. »

    Cette idée folle, délivrée sous couvert d’anonymat, vient d’un membre à la tête d’un bureau départemental en région parisienne de Renaissance et, par ailleurs, conseiller national du parti présidentiel. Il ne fait pas partie du petit état-major rassemblé autour d’Emmanuel Macron, mais quand même.

    Cette courte séance de politique-fiction peut paraître anecdotique.Elle ne l’est pas. Imaginer qu’installer l’extrême droite au gouvernement permettrait de trouver une voie de sortie potable pour Emmanuel Macron et Renaissance dans la perspective de 2027, est-ce un dérapage isolé ? C’est tout le contraire. La petite réflexion est à l’image d’un élément de langage désormais répandu au sein de la majorité : le danger, c’est tantôt La France insoumise, tantôt la Nupes, toujours Jean-Luc Mélenchon. Mais jamais Marine Le Pen.

    • « La macronie banalise le néofascisme et lui montre les outils de la 5ème permettant de gouverner par la terrorisation, la mutilation, les tentatives de meurtre et l’antiparlementarisme.
      Certes. »

      « Mais cela signifie que le macronisme est DEJA une forme hybride entre néolibéralisme managérial et néofascisme. Sa forme adaptée à l’électorat de cadres incultes formés en business school et de la vieille bourgeoisie barbarisée. »

      https://twitter.com/Pr_Logos/status/1642449063965609984?cxt=HHwWgMC-tZeuk8stAAAA

    • Le fil d’origine est sur Mastodon
      https://framapiaf.org/@Pr_Logos@piaille.fr/110128736451757628

      Il publie sur Mastodon et effectue un transfert automatique vers Twitter d’après ce qu’il dit. Et ça lui va bien, car ça lui évite les galères de tomber sur tous les tarés du net qui répondent sur Twitter.

      1/ Pour quelle raison Macron a-t’il demandé à son ministre issu de l’extrême-droite antisémite, royaliste, climato-négationniste et intégriste de se livrer à son « 6 février 1934 », reprenant tout les éléments de langage néofascistes ?

      2/ Il s’agit d’un coup de sonde, avec force sondages, avant de le nommer premier ministre. Comment vont réagir les derniers Straus-Khanien à une rhétorique anti-parlementaire, néofasciste, appelant au meurtre des écologistes ?

      3/ La droite conservatrice est en morceau. Le quart va se rallier vers sa gauche, à un centre libéral. Le quart est déjà rallié à Le Pen. Reste la moitié de bourgeois barbarisés que Darmalin peut accréter… ou pas.

      4/ Si la Le Pen arrive au pouvoir, elle n’aura pas de cadres de gouvernement (mais une police déjà à ses ordres). Elle aura donc besoin des cadres LR pour ne pas provoquer un effondrement instantané de l’économie.

      5/ Les dernier LR qui n’ont pas choisi hésitent : se rallier à Macron au risque d’être éjectés dans quelques mois et de perdre la perspective du gouvernement avec la Le Pen…

      Alors Macron tente un gouvernement Le Pen avant l’heure.

      6/ Il le tente virtuellement, en laissant Darmalin dire qu’il ne reconnait plus les parlementaires de gauche comme parlementaires, dire que les militants de la de la vie et du climat sont des « terroristes » à liquider.

      7/ Si les sondages disent que les strauskhaniens adhèrent au discours néofasciste, par peur, et que la bourgeoisie barbarisée Zemmour-Figaro Vox-Valeurs Actuelles est enthousiaste pour Darmalin, Macron le nommera.

      8/ Et puis l’Etat d’urgence. Les meurtres qu’on « assume ». La répression. La chasse aux migrants, aux militants anti-autoritaires, aux journalistes, aux intellectuels et aux universitaires. Les canaris des régimes policiers.

      9/ Si les libéraux sont effarés de la vitesse d’émergence d’un régime néofasciste, si LR préfère se préserver pour Le Pen Macron fera « papa les gros yeux » qui est un génie mais qui n’est entouré que de débiles incompétents.

      10/ Voilà l’enjeu du numéro néofasciste…

      Sonder l’opinion sur un gouvernement « de sursaut » pétainiste : Darmalin, Rétailleau, Zemmour, Dati, Cazeneuve, Valls, Ciotti.

      PS : je sais qu’on ne doit pas utiliser l’Histoire, etc. En mobilisant 34, je veux juste dire que nous avons encore la possibilité de 1936 entre nos mains. Notre mouvement est fort, uni, déterminé et joyeux.

    • Darmanin dans le « JDD » : le ministre n’a plus de limites (#paywall)
      https://www.mediapart.fr/journal/politique/020423/darmanin-dans-le-jdd-le-ministre-n-plus-de-limites

      « Terrorisme intellectuel de l’extrême gauche », création d’une « cellule anti-ZAD », « manipulations de l’information », pulsion obsessionnelle contre « la violence, les casseurs et l’ultragauche » : dans une nouvelle interview accordée dimanche à l’hebdomadaire, le ministre de l’intérieur continue de tenir des propos agressifs contre toutes celles et ceux qui ne sont pas d’accord avec lui.

    • Si on n’appelle pas ça jeter un bidon d’essence sur la barbecue, je ne sais pas trop comment on pourrait qualifier ça. La Macronie a mis le feu à la société et ça les amuse. On dirait qu’ils n’attendent que des actions violentes pour nous imposer (au choix) un état d’urgence, un couvre-feu, la suspension de toutes nos libertés fondamentales, (dont celle de la presse notamment), etc.
      Je pense qu’il ne faut pas tomber dans ce genre de piège. Patience ... Et courage aussi. Continuons à organiser la #résistance.

    • G.D. devait être nommé 1er ministre si le gouvernement était contraint d’en passer par le 49.3 pour faire adopter la réforme contre les retraites. il joue sa partition après que Borne ait décidé de repousser l’adoption de la loi immigration. Faux brav, vrai préfet, la police (Nunez sera lundi à TMTP sur conseil du ministère) nous parle.

      la dissolution de du collectif rennais DC (et non pas DefCo comme on l’écrit dans les média(Rennes) était annoncé la semaine dernière avec la publication d’un dossier dont le centre de gravité si si ) était D.C, du Mensuel de Rennes (lié au Télégramme de Brest)
      https://twitter.com/MuArF/status/1641828343904456705
      (Logos, c’est aussi aussi Hindenburg revisité Veme Rep., il me semble)

    • je refuse de céder au terrorisme intellectuel et à une question posée à l’A.N. sur des VSS et un viol de 5 manifestantes à Nantes je répondrais par un hommage aux policiers « blessés », et rien d’autre.

      un policier déshabille un manifestant à Lyon dans la rue


      des milliers de personnes prêtes à tuer , E.M. racontant Sainte Soline et ses gendarmes à Sainte Savine be water le lac

      le bon grain de l’ivraie. ct’affaire d’ultra gauche parlementaire doit forcer ceux qui ne l’ont pas fait (EELV, très provisoirement, LFI-JLM, avec brio) à condamner « la violence des manifestants », afin d’isoler grève, blocage (en ces jours qui précèdent la journée intersyndicale du 6), sabotage

      tapis ! sur le #goban

    • Attentat ? Prise d’otage ? Destructions ?

      –> agression des opposants politiques, destructions du matériel des journalistes, gav illégitimes.

      « l’autorité réclamée par les Français est là »

      même pas en rêve !

      « La complaisance très inquiétante des mouvements politiques qui ont leurs entrées à l’Assemblée nationale »,

      La complaisance du gouvernement pour l’extrême droite.

      La cellule #Démeter rime bien avec #FRDeter !

    • La nouvelle droite cristallise autour de Darmanin

      Ce n’est pas pour rien que Gérald Darmanin se sera avancé si incroyablement dans l’affirmation d’un profil bolsonariste en France cette quinzaine-ci. Au point d’effacer toutes les autres figures de la droite. Et même celle du Président, qui, avec son interview décisive dans Pif Gadget, s’est englouti dans le dérisoire du petit bain médiatique où pataugent déjà Dussopt et Schiappa. Ses outrances, ses violences, ses abus : tout participe à la construction de ce qui est désormais la ligne d’horizon de la nouvelle droite en France. La preuve est donnée en Ariège.

      En battant la député sortante en Ariège, le « parti de l’ordre » obtient son premier succès. LR, RN, Macronistes tous en rangs serrés derrière un fantôme du PS de l’ancien temps contre une députée sortante qu’ils ont insultée et méprisée, sans trêve ni pause, accusée des pires idioties dans le florilège des plus révulsifs éléments de langage de la nouvelle droite extrême. « Tout sauf la NUPES » ! « Tout sauf les insoumis ». Tel est le dénominateur commun de cette nouvelle droite globale qui se cristallise. Du RN aux macronistes, un pont est lancé dont des individus comme Darmanin sont une des figures transversales possibles les plus évidentes. Comme l’ont été ailleurs Bolsonaro ou Trump. Et en Europe comme l’ont été toutes les combines politiciennes du même bois qui ont donné la Melloni au pouvoir en Italie et sa préfiguration en Suède après la Hongrie et la Pologne et avant d’autres bien sûr.

      Stefano Palombarini avait correctement compris ce que les élections en France disaient depuis quelques temps. Il avait vu les trois blocs égaux de la gauche, de la droite variée et de l’extrême droite. Il prévoyait la fusion progressive des droites. Cette analyse était aussi la mienne au sortir de la séquence législative dont nous avions gagné le premier tour et perdu le second, battus par une coalition de toutes les droites dans chaque circonscription. Nous comptions un quatrième bloc, celui des abstentionnistes. Je pensais qu’il était l’enjeu. Palombarini s’est dit surpris que tout aille si vite entre les droites. À l’Assemblée, les Insoumis en avaient la preuve cent fois donnée au fil des votes et des élections aux postes internes de l’Assemblée.

      Telle est désormais la pente, partout et en toute circonstances. C’est celle de la destruction du mix fondateur de la société française depuis la Libération. Le point d’équilibre mille fois disputé et mouvant entre société libérale et société de droits sociaux avait été déjà sévèrement abîmé par la gestion de l’aile Hollande du socialisme français. Il est, depuis lors, profondément saccagé dans ses fondamentaux par un autre homme comme Macron directement issu du même milieu politique et directement lié à l’oligarchie du pays qui entre temps s’est emparée de tous les moyens de communication. Le Code du travail, les retraites, les libertés publiques, tout a été atteint. Quelques apprentis sorciers qui ont déclenché tout cela depuis la « gauche traditionnelle » devraient s’interroger. Ils ne le feront pas. Englués dans leurs délires et obsessions islamophobes, leur nouvelle idéologie les coupe de la pratique du réel. Cette « gauche-là » en France n’a rien vu venir et a laissé faire, encouragé et cajolé le pire, drapée dans la bonne conscience.

      Pour autant, si l’on considère la série des évènements dans leur continuité depuis la fin des législatives, nous continuons à tenir le bout qui nous place aux avant-postes de l’esprit du pays. La vue d’ensemble au fil des élections partielles est : nous avons gagné un siège, gardé un et perdu un autre. Si injuste que soit la défaite en Ariège, survenant pour la deuxième fois dans le même département avec la même alliance, elle ne dépeint pas toute notre réalité. Loin de là, parce que les conditions sociales et les problèmes posés au pays sont loin d’y être résumés. Côté des droites, les macronistes ont perdu un siège, repris un mais ont été lourdement éliminés du deuxième tour partout ailleurs. En Ariège, ils n’ont pu gagner autrement qu’en se rangeant derrière le parti de Cazeneuve et Hollande. Identité confuse, rangée à droite sous les oripeaux de la gauche d’avant-hier. Le Pen a perdu un siège, a été écrasée dans le Pas-de-Calais et éliminée du deuxième tour dans l’Ariège. Ce sont des signes de recul de l’influence électorale du RN. Ils restent pourtant niés par les sondeurs qui continuent à « sonder » avec leur vieux thermomètre d’autrefois où les catégories politiques et les liens entre milieu social et choix politique restent fixés sur les compteurs d’il y a vingt ans. L’aile d’extrême droite de la macronie incarnée par Gérald Darmanin peut rêver sérieusement de prendre le contrôle de cet espace de la droite globale, celle du « parti de l’ordre ». En modérant ses propos, son apparence et ses manières de faire, Le Pen se rend soluble dans ce nouvel ensemble où Darmanin l’a déjà déclarée « trop molle ».

      Décrire un tableau, c’est s’astreindre à le comprendre. Le comprendre, c’est se donner les moyens d’agir sur son évolution. Comme toujours, l’analyse du résultat d’une élection est un enjeu idéologique. Elle détermine le pilotage de la suite de l’action. Nous savons à présent, de source électorale sûre, que la « gauche » de Delga, Cazeneuve et compagnie, ce n’est pas la gauche. C’est assez cher payé. Toute bienveillance sera dès lors mal placée. Mais la cause que nous portons s’est accommodée d’autres difficultés bien plus considérables.

      Ce que cette élection partielle ne peut faire oublier, c’est une leçon de bon sens : rien de pire que de confondre la tête et la queue d’un flux. En Ariège, on voit les bases de la résistance d’un vieux monde sans avenir qui achève son agonie dans la combinazione la plus méprisable. La tête des événements, c’est la mobilisation sociale contre la retraite à 64 ans, l’entrée en lice de la jeunesse du pays dans l’opposition frontale au monde du libéralisme. C’est là que tout se joue.


      https://melenchon.fr/2023/04/02/la-nouvelle-droite-cristallise-autour-de-darmanin

    • « Partout, les éditorialistes nous bassinent avec le prétendu sérieux du RN à l’Assemblée nationale… mais dans les faits, ça donne quoi ? Je vous propose qu’on lise ensemble leur recours au Conseil constitutionnel contre la réforme des retraites, qui est un summum d’incompétence ⤵️ »
      https://twitter.com/malopedia/status/1647641570974285825?cxt=HHwWgoC2se_RzN0tAAAA

      Je me suis retenu de faire ce fil avant la décision du Conseil constitutionnel, parce que je voulais pas qu’on m’accuse de tirer sur des arguments (aussi mauvais soient-ils) contre la réforme des retraites. Mais maintenant, je peux m’en donner à cœur joie donc on va pas se priver.

      Le recours du RN peut être trouvé ici : https://conseil-constitutionnel.fr/sites/default/files/2023-03/2023849dc_saisinedep_1.pdf

      Il développe 7 moyens, c’est-à-dire 7 angles d’attaque. 5 d’entre eux sont, pour être poli, aux fraises...

  • Paris 2024 : infiltrez les J.O. avant le 3 Mai 2023 Alexandre-Reza Kokabi

    Les Jeux olympiques de Paris sont en quête de milliers de bénévoles. Dénonçant du « travail dissimulé » et le saccage de la biodiversité, de nombreux opposants sont prêts à s’engager pour semer la pagaille.

    Ils veulent hacker les Jeux olympiques de Paris. Comment ? En se fondant parmi les bénévoles et en semant la pagaille dans la grande compétition sportive prévue en 2024. « J’espère de tout cœur être retenue... pour mieux gâcher la fête de l’intérieur ! » dit à Reporterre Amel , 27 ans et étudiante en Seine-Saint-Denis. Comme cette membre du collectif Saccage 2024, en résistance aux Jeux olympiques de Paris, de nombreux activistes vont tenter d’intégrer l’équipe de volontaires.


    La brèche s’est ouverte le 22 mars. Ce jour-là, le Comité d’organisation des Jeux olympiques et paralympiques (Cojop) a lancé sa « campagne de recrutement ». Il cherche à attirer une armée de 45 000 bénévoles, qui deviendront les petites mains des J.O. de Paris en 2024 : celles qui accueilleront les spectateurs depuis les gares et les aéroports jusqu’aux différents sites de la compétition, celles qui transporteront des délégations au volant d’un minibus, ou encore celles qui disposeront les starting-blocks avant les courses d’athlétisme. « Les missions sont variées, il y en a pour tous les goûts », dit à Reporterre Alexandre Morenon-Condé, directeur aux opérations Relations humaines (RH) de Paris 2024. Sauf que celles-ci ne seront pas payées.

    Cette campagne a fait bondir le collectif Saccage 2024, qui a lancé une « contre-campagne de recrutement de bénévoles ». Fin mars, Amel, Camille et Alain ont donc pris « une quarante de minutes » pour répondre à toutes les questions du formulaire d’inscription, comme tous les autres candidats. Les inscriptions peuvent être envoyées jusqu’au 3 mai, et seront examinées durant l’été. Les volontaires apprendront à l’automne s’ils ont été sélectionnés.

    Faire grève, travailler trop lentement...
    Leur objectif : « Mettre du sucre dans le réservoir des J.O. », dit Camille à Reporterre. « Nous pourrions ne pas venir, venir et déployer des banderoles, nous mettre en grève en demandant d’être rémunérés, former un collectif et attaquer les Jeux olympiques aux prud’hommes... », dit le jeune homme de 25 ans, qui habite en Seine-Saint-Denis.

    Autre possibilité : « Faire une grève du zèle et bloquer les Jeux olympiques en travaillant trop lentement, ou pas correctement », propose Amel, qui n’a pas encore décidé ce qu’elle ferait. « Le coût d’engagement est faible, la charte du volontariat précise bien qu’on peut renoncer à son rôle jusqu’au dernier moment », poursuit-elle. « C’est une campagne accessible à tout le monde, à peu de frais », résume Camille.

    Alain, activiste écolo de 34 ans, privilégie un autre mode d’action. « Une fois devenu bénévole, je compte dénoncer le modèle des Jeux olympiques de l’intérieur, auprès de toutes les personnes que je rencontrerai », explique cet ancien judoka, « dégoûté » de l’olympisme depuis la destruction de plusieurs favelas de Rio, lors de la compétition de 2016, qui avait entraîné l’expulsion de centaines de familles pauvres. Il rêve d’accompagner des officiels et des sportifs « pour les mettre au courant ».

    Du « travail dissimulé »
    Ces militants dénoncent avant tout ce qu’ils qualifient de « travail dissimulé ». Durant la compétition, les volontaires travailleront parfois entre 8 et 10 heures par jour, 6 jours sur 7. Le tout sans salaire et sans prise en charge de leurs frais de transport ou d’hébergement pour celles et ceux qui viendront de loin. « Nous serons à disposition du Cojop, nous aurons des fiches de poste, des missions, des supérieurs hiérarchiques et sans nous, les Jeux ne pourront pas fonctionner », dit Camille. Pour ce jeune syndicaliste, « la présomption de salariat est totale » et « c’est d’autant plus révoltant dans un département comme la Seine-Saint-Denis, où les perspectives d’emploi manquent cruellement ».

    Pour la sociologue Dan Ferrand-Bechmann, autrice du livre Le bénévolat : au bénévole inconnu ! (Dalloz, 2014), « le bénévolat n’est pas un problème en soi. Si vous avez choisi librement d’être volontaire pour être ramasseur de balles aux épreuves de tennis, vous pouvez y trouver votre compte [approcher les sportifs, assister aux épreuves, etc.]. C’est quelque part rémunéré symboliquement. Peut-on alors parler de travail dissimulé ? Je ne le pense pas. En tout cas, les frontières juridiques de ce statut sont trop floues pour pouvoir l’affirmer ».

    « Si on annulait les J.O., on ferait du bien à la planète ! »

    C’est aussi ce que met en avant Alexandre Morenon-Condé, de Paris 2024. « Personne n’est forcé à s’inscrire, et c’est l’opportunité unique de vivre de l’intérieur les premiers Jeux d’été organisés en France depuis un siècle, d’incarner les valeurs de Paris 2024 aux yeux du monde entier, dit-il à Reporterre, avant de préciser qu’il a lui-même été bénévole lors des Jeux olympiques d’Athènes, en 2004. Ça a changé ma vie, ma trajectoire professionnelle et j’y ai noué des amitiés durables. »

    Pour autant, selon Dan Ferrand-Bechmann, « dans le cadre des Jeux olympiques les bénévoles pourraient être payés », car « le Cojo en a les moyens ». « Je suis persuadée que la moitié des postes qui seront occupés par des bénévoles pourraient être rétribués et permettre à des jeunes — et des moins jeunes — d’accéder à l’emploi, dont ils ont terriblement besoin. » « Le recours massif au bénévolat est indécent pour une si grande compétition sportive, qui génère des milliards de profits », s’indigne d’ailleurs Alain. Le budget du Cojop s’élève à 4,4 milliards, et celui des Jeux de Paris dépasse les 8 milliards. « Paris 2024 offre déjà plein d’opportunités : on estime déjà à 150 000 le nombre d’emplois directement liés aux Jeux, entre la construction, le tourisme et l’organisation », soutient de son côté Alexandre Morenon-Condé, de Paris 2024.

    Saint Denis aussi dit Non à la loi olympique 2 ! Caméras hors de nos vie. La loi arrive à l’assemblée aujourd’hui ! @laquadrature#directan#nonaujop2024 pic.twitter.com/ISxCIpQXBn

    Au-delà des accusations de travail dissimulé, « les raisons d’agir ne manquent pas », soupire Camille. Avec les Jeux olympiques, la vidéosurveillance algorithmique fait son entrée dans le droit français, rappelle-t-il. Pour Amel, en Seine-Saint-Denis, la compétition « est un accélérateur de projets de destruction, de pollution, d’expulsion et de spéculation ».

    Une partie des jardins ouvriers d’Aubervilliers ont été rasés pour construire une piscine d’entraînement et un solarium. Un échangeur routier est en cours de construction juste à côté du groupe scolaire Pleyel Anatole France, à Saint-Denis, pour desservir plus rapidement le futur « Village des athlètes ». Des travailleurs sans-papiers sont exploités sur les chantiers et les places en hôtels sociaux se réduisent, remarque aussi Camille. « Bref, si on annulait les Jeux olympiques, on ferait du bien à la planète ! », conclut Alain.

    Source (titre modifié) : https://reporterre.net/Paris-2024-des-activistes-ecolos-veulent-infiltrer-les-J-O

    #jo #jeux_olympiques #activisme #écologie #bénévolat #travail_dissimulé #résistance

  • L’Appel des Résistants
    Le dimanche 14 mars 2004.

    Au moment où nous voyons remis en cause le socle des conquêtes sociales de la Libération, nous, vétérans des mouvements de Résistance et des forces combattantes de la France Libre (1940-1945), appelons les jeunes générations à faire vivre et retransmettre l’héritage de la Résistance et ses idéaux toujours actuels de démocratie économique, sociale et culturelle.

    Soixante ans plus tard, le nazisme est vaincu, grâce au sacrifice de nos frères et sœurs de la Résistance et des nations unies contre la barbarie fasciste. Mais cette menace n’a pas totalement disparu et notre colère contre l’injustice est toujours intacte.

    Nous appelons, en conscience, à célébrer l’actualité de la Résistance, non pas au profit de causes partisanes ou instrumentalisées par un quelconque enjeu de pouvoir, mais pour proposer aux générations qui nous succéderont d’accomplir trois gestes humanistes et profondément politiques au sens vrai du terme, pour que la flamme de la Résistance ne s’éteigne jamais :

    Nous appelons d’abord les éducateurs, les mouvements sociaux, les collectivités publiques, les créateurs, les citoyens, les exploités, les humiliés, à célébrer ensemble l’anniversaire du programme du Conseil national de la Résistance (C.N.R.) adopté dans la clandestinité le 15 mars 1944 : Sécurité sociale et retraites généralisées, contrôle des « féodalités économiques », droit à la culture et à l’éducation pour tous, presse délivrée de l’argent et de la corruption, lois sociales ouvrières et agricoles, etc. Comment peut-il manquer aujourd’hui de l’argent pour maintenir et prolonger ces conquêtes sociales, alors que la production de richesses a considérablement augmenté depuis la Libération, période où l’Europe était ruinée ? Les responsables politiques, économiques, intellectuels et l’ensemble de la société ne doivent pas démissionner, ni se laisser impressionner par l’actuelle dictature internationale des marchés financiers qui menace la paix et la démocratie.
    Nous appelons ensuite les mouvements, partis, associations, institutions et syndicats héritiers de la Résistance à dépasser les enjeux sectoriels, et à se consacrer en priorité aux causes politiques des injustices et des conflits sociaux, et non plus seulement à leurs conséquences, définir ensemble un nouveau « Programme de Résistance » pour notre siècle, sachant que le fascisme se nourrit toujours du racisme, de l’intolérance et de la guerre, qui eux-mêmes se nourrissent des injustices sociales.
    Nous appelons enfin les enfants, les jeunes, les parents, les anciens et les grands-parents, les éducateurs, les autorités publiques à une véritable insurrection pacifique contre les moyens de communication de masse qui ne proposent comme horizon pour notre jeunesse que la consommation marchande, le mépris des plus faibles et de la culture, l’amnésie généralisée et la compétition à outrance de tous contre tous. Nous n’acceptons pas que les principaux médias soient désormais contrôlés par des intérêts privés, contrairement au programme du Conseil national de la Résistance et aux ordonnances sur la presse de 1944. Plus que jamais, à ceux et celles qui feront le siècle qui commence, nous voulons dire avec notre affection :
    « Créer, c’est résister. Résister, c’est créer. »

    Signataires :

    Lucie Aubrac, Raymond Aubrac, Henri Bartoli, Daniel Cordier, Philippe Dechartre, Georges Guingouin, Stéphane Hessel, Maurice Kriegel-Valrimont, Lise London, Georges Séguy, Germaine Tillion, Jean-Pierre Vernant, Maurice Voutey.

    #résistance

  • #Die : ZADIMANCHE le 2 avril, venez planter des patates
    https://ricochets.cc/Die-ZADIMANCHE-le-2-avril-venez-planter-des-patates.html

    À Die, depuis le 12 mars dernier, les terres menacées de destruction par l’extension de la Zone d’Activité Cocause Nord ont été remise en culture : chaque dimanche, des habitant.e.s du Diois et d’ailleurs se retrouvent pour cultiver ensemble un autre futur pour ces terres. VENEZ PLANTER DES PATATES SUR LES TERRES MENACÉES DE CHAMARGES DIMANCHE 2 AVRIL à 11H30 RDV au niveau du rond-point

    de la Route de Ponet (D543)

    Parkings à proximité Apportez des outils :

    fourches-bêches, grelinettes, houes, (...) #Les_Articles

    / #Ecologie, #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle, #Agriculture, #Autonomie_et_autogestion, (...)

  • Simple Sabotage Field Manual
    https://en.wikisource.org/wiki/Simple_Sabotage_Field_Manual/Introduction

    Contre les bullshit jobs il y a des techniques rôdées. Merci Arte qui m’a fait découvrir Le fabuleux monde de l’entreprise et comment faire pour y échapper. Le problème est qu’ils ne disent pas comment prospérer et vivre librement à la fois. Retournons donc au sources.

    INTRODUCTION

    a. The purpose of this paper is to characterize simple sabotage, to outline its possible effects, and to present suggestions for inciting and executing it.

    b. Sabotage varies from highly technical coup de main acts that require detailed planning and the use of specially trained operatives, to innumnerable simple acts which the ordinary individual citizen-saboteur can perform. This paper is primarily concerned with the latter type. Simple sabotage does not require specially prepared tools or equipment; it is executed by an ordinary citizen who may or may not act individually and without the necessity for active connection with an organized group; and it is carried out in such a way as to involve a minimum danger of injury, detection, and reprisal.

    c. Where destruction is involved, the weapons of the citizen-saboteur are salt, nails, candles, pebbles, thread, or any other materials he might normally be expected to possess as a householder or as a worker in his particular occupation. His arsenal is the kitchen shelf, the trash pile, his own usual kit of tools and supplies. The targets of his sabotage are usually objects to which he has normal and inconspicuous access in everyday life.

    d. A second type of simple sabotage requires no destructive tools whatsoever and produces physical damage, if any, by highly indirect means. It is based on universal opportunities to make faulty decisions, to adopt a non-cooperative attitude, and to induce others to follow suit. Making a faulty decision may be simply a matter of placing tools in one spot instead of another. A non-cooperative attitude may involve nothing more than creating an unpleasant situation among one’s fellow workers, engaging in bickerings, or displaying surliness and stupidity.

    e. This type of activity, sometimes referred to as the “human element," is frequently responsible for accidents, delays, and general obstruction even under normal conditions. The potential saboteur should discover what types of faulty decisions and cooperation are normally found in this kind of work and should then devise his sabotage so as to enlarge that “margin for error."

    Le fabuleux monde de l’entreprise
    Ou quand le travail perd son sens
    https://www.arte.tv/fr/videos/089133-000-A/le-fabuleux-monde-de-l-entreprise

    Avec David Graeber qui nous a quitté trop tôt.

    Simple Sabotage Field Manual by Office of Strategic Services (#OSS)
    fac-similé
    https://archive.org/details/SimpleSabotageFieldManual/mode/2up

    Comment

    Acts of simple sabotage, multiplied by thousands of citizen-saboteurs, can be an effective weapon against the enemy. Slashing tires,

    – draining fuel tanks,
    – starting fires,
    – starting arguments,
    – acting stupidly,
    – short-circuiting electric systems,
    – abrading machine parts

    will waste materials, man-power, and time. Occurring on a wide scale, simple sabotage will be a constant and tangible drag on the war effort of the enemy.

    Pourquoi

    the very practice of simple sabotage by natives in enemy or occupied territory may make these individuals identify themselves actively with the United Nations war effort, and encourage them to assist openly in periods of Allied invasion and occupation.

    Il faut adapter cette idée à notre actualité.

    On fait tout pour donner uns sens à notre travail s’il n’en a pas encore. Le sabotage n’est que la première étape vers la création d’un environnement vital qui permet de s’épanouir. Pour arriver à cette étape il faut dépasser le simple sabotage et commencer à construire quelque chose. Il faut passer des actes individuels à l’action collective.

    La transition entre ces phases d’action est la plus dangereuse car on quitte la clandestinité sans avoir complètement dépassé les méthodes employé dans la clandestinité. C’est là que l’ennemi peut nous arrêter et terminer notre progression.

    J’ai fait le choix de ne pas passer à travers phase I et de me lancer directemet dans phase II cad la construction. Les imperfection du système en place déclenchent des processus d’auto-sabotage de toute manière et me libèrent ainsi de la nécessité au sabotage actif.

    #travail #résistance

  • TEMOIGNAGE DE SAINTE-SOLINE
    https://ricochets.cc/TEMOIGNAGE-DE-SAINTE-SOLINE.html

    Présent à Sainte-Soline ce we, mon devoir, notre devoir, est aujourd’hui de témoigner. De raconter ce qu’il s’est passé, de dire, transmettre, diffuser largement pour rétablir un bout de vérité, pour tordre le cou à la désinformation malsaine de ceux qui imposent leur modèle de mort. Pour le contexte, tout d’abord, insistons sur le côté hors norme de l’événement : la qualité de l’organisation et de l’accueil, le nombre de bénévoles, des participants venus de toute l’Europe et du monde, les infrastructures (...) #Les_Articles

    / #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle, #Violences_policières, Autoritarisme, régime policier, (...)

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...

  • Les #mines, une histoire du #paternalisme

    Sous l’impulsion des compagnies privées qui se partageaient l’exploitation des gisements de #charbon en #France, une population de #mineurs s’est stabilisée à un endroit et pour plusieurs générations.

    C’est une longue histoire de l’#exploitation qui commence il y a plus de deux siècles, quand des #compagnies_minières embauchent des centaines, des milliers d’hommes, de femmes et d’enfants, tout un peuple minier, qu’on installe près des puits de mines de charbon. En possédant les logements, les écoles, les clubs sportifs ou encore les églises, ces compagnies privées organisent la vie quotidienne et le destin des mineurs, avec sa #morale, son #éducation et sa #religion.

    « Être mineur, c’était la garantie d’un salaire, d’un logement, du chauffage en hiver, de l’éducation pour les enfants et de l’accès à la coopérative minière pour les achats ». L’historienne Marion Fontaine explique d’ailleurs : “Si l’on ne prend pas en compte la dangerosité du métier, en termes de vie quotidienne, dans les années 1870-1880, il vaut mieux être un mineur qu’un ouvrier du textile. Mais cette protection a un coût. Elle a un prix énorme, car elle rend les ouvriers extrêmement dépendants de ces largesses patronales”.

    Ainsi, en contrepartie, les mineurs doivent #respect et #obéissance aux #patrons. Un véritable système de #paternalisme_patronal que nous raconte le géographe Simon Edelblutte : “L’industriel va subvenir aux besoins des ouvriers, il les paye et leur assure le logement, ainsi que certains loisirs, l’éducation des enfants, et cetera. Mais si vous aviez des problèmes au travail, si vous vous syndiquiez, et que le patron n’était pas content, non seulement vous pouviez perdre votre travail, mais vous pouviez perdre votre logement aussi, c’était donc une manière de vous contrôler.”

    Mais face à cette omniprésence des compagnies, la #solidarité minière s’organise peu à peu et résiste.

    Du porion à l’ingénieur, des gardes des mines au grand bureau, la #surveillance et le contrôle de la main d’œuvre est plus ou moins stricte selon les zones.

    C’est dans le Nord Pas de Calais que l’on fait ici notre immersion.

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/les-mines-une-histoire-du-paternalisme-5306611
    #contrôle #patronat #résistance
    #audio #podcast

  • Les mégabassines : tout comprendre en une #carte

    Une carte du bassin de la #Sèvre niortaise, avec des #bassines_artificielles et des #zones_humides, pour comprendre ce qui se passe dans cette région du #marais poitevin.

    Aujourd’hui, dans la région et plus précisément à #Sainte-Soline, on attend une grande #manifestation « anti-bassines ». Cette #mobilisation doit rassembler les opposants à ce programme de stockage de l’eau pour l’#agriculture, mais elle a été interdite par la préfecture des Deux-Sèvres, en raison de la violence des affrontements avec les forces de l’ordre lors des précédents rassemblements. Les organisateurs promettent en revanche une mobilisation historique à laquelle sont censées participer des délégations étrangères, européennes mais aussi venues d’outre-Atlantique.

    Delphine Papin, cartographe au journal Le Monde explique comment a été pensée cette carte du bassin de la Sèvre niortaise, qui coule entre les départements de la #Vendée, des #Deux-Sèvres et de la #Charente-Maritime.

    « En bleu, on a tracé les principaux cours d’eau comme la Sèvres niortaise, la Vendée ou le #Mignon. On a aussi tracé les zones humides très étendues dans cette région, puisque nous sommes ici entre terre et mer, dans la région du marais poitevin, qui est la deuxième plus grande #zone_humide de France, après la Camargue. C’est une zone qui concentre une #biodiversité très riche, mais à l’équilibre écologique fragile et qui a subi dans le temps une forte pression humaine avec entre autres la conversion de certaines prairies en zone de #cultures_céréalières.

    En 2014, cette région a retrouvé son statut de #parc_naturel_régional - qu’elle avait perdu en 1996 en raison de ces transformations - : nous avons représenté avec un liseré vert ce périmètre à l’intérieur duquel l’environnement doit être en principe préservé. En jaune justement, on voit les #zones_agricoles, qui sont prépondérantes dans cette région rurale, ponctuée de zone urbains comme #Niort : on y pratique la #polyculture et l’#élevage, mais surtout la #céréaliculture, avec des grandes étendues irriguées très gourmandes en eau. »

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-cartes-en-mouvement/les-megabassines-tout-comprendre-en-une-carte-6229163

    #cartographie #visualisation #méga-bassines #mégabassines #eau #agriculture #résistance #irrigation

  • 24 mars : les bourgeois et les éditocrates de cour font la gueule, ils sont perdus, aux abois
    https://ricochets.cc/24-mars-les-bourgeois-et-les-editocrates-de-cour-font-la-gueule-ils-sont-p

    Aujourd’hui, les bourgeois et les éditocrates de cour font grave la gueule. Ils ne savent plus à quel flic ou à quel politicard martial se vouer, c’est bon signe. Ils commencent même à critiquer le Roy Macron : « il gouverne mal », « un jour ça va mal finir », « le service de sécurité n’a pas fonctionné ?? » Ils sont anxieux visiblement les pôvres, ils s’inquètent pour leur matricule et leurs avoirs, ils voient que la contestation augmente encore malgré leurs « appels » constants et éplorés à « l’essouflement ». Y en (...) #Les_Articles

    / Révoltes, insurrections, débordements..., #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle, (...)

    #Révoltes,_insurrections,_débordements... #Révolution_
    https://labogue.info/spip.php?article1522&lang=fr

  • Et si la contestation se transformait pour de bon en révolution ?
    https://ricochets.cc/Et-si-la-contestation-se-transformait-pour-de-bon-en-revolution.html

    On le disait dès samedi 18 mars : étant donné le niveau de colère et de mobilisation, le gouvernement peut être considéré comme mort. A présent, suite à cette énorme journée historique du 23 mars, on peut franchement parler de soulèvement et d’insurrection. La marmite explose, ça déborde de partout, ça fait trop longtemps qu’on se fait laminer par tous les bouts et que le système en place ravage la planète et le climat. Alors certains (voir plus bas) évoquent à présent la notion casse gueule de « révolution ». (...) #Les_Articles

    / #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle, Révoltes, insurrections, débordements..., (...)

    #Révoltes,_insurrections,_débordements... #Révolution_
    https://lagrappe.info/spip.php?article124
    https://manif-est.info/Nous-aussi-on-veut-passer-en-force-2377.html

  • La prima analisi globale dell’attivismo delle donne contro l’industria estrattiva

    Una ricerca ha esaminato 104 conflitti estrattivi registrati nell’Atlante della giustizia ambientale con l’obiettivo di identificare nel contesto globale i punti in comune e le differenze della presenza femminile nelle lotte. Dal Perù al Guatemala, dall’India al Sudafrica. Non solo duri impatti ma anche nuove pratiche di resistenza

    Nei conflitti contro progetti estrattivi di materie prime, le donne non sono solo vittime ma prendono parte in maniera attiva alle azioni di protesta, opposizione e denuncia delle conseguenze ambientali e sanitarie di questi progetti. Assumendo un ruolo predominante nell’opposizione all’industria estrattiva, le donne stanno rimodellando le pratiche esistenti, creando nuove possibilità di lotta che rifiutano l’imposizione della cultura dominante e di un’unica narrazione del progresso.

    Una recente pubblicazione, apparsa sulla rivista Journal of Political Ecology, ha analizzato 104 conflitti estrattivi registrati nell’Atlante della giustizia ambientale (Environmental Justice Atlas – EJA) con l’obiettivo di identificare nel contesto globale i punti in comune e le differenze della presenza femminile nelle lotte per la giustizia ambientale. Si tratta della prima analisi globale dell’attivismo delle donne contro l’industria estrattiva. I ricercatori hanno incluso nell’analisi progetti di estrazione di materie prime come oro, argento, rame, ferro, alluminio, piombo, metalli rari per la produzione di prodotti tecnologici, petrolio, ma anche diamanti e miniere di carbone. La mappatura dei conflitti comprende zone da tutto il mondo, in tutti e cinque i continenti.

    L’Atlante è il più grande inventario esistente di conflitti socio-ambientali, con oltre 3.800 casi segnalati a marzo 2023. Circa il 23% di questi (896 casi) identifica le donne come attori importanti nelle proteste. È il risultato di un lavoro collaborativo da parte di accademici, singoli attivisti e organizzazioni che contribuiscono con approfondimenti per ciascun caso. Alle informazioni dell’Atlante i ricercatori hanno aggiunto, quando disponibili, quelle contenute in testi accademici pubblicati su riviste specialistiche, rapporti istituzionali e altre pubblicazioni di organizzazioni internazionali e locali coinvolte. I conflitti legati all’attività estrattiva possono verificarsi come conseguenza degli impatti socio-ambientali sulla terra, sull’acqua e sui mezzi di sussistenza, come reazione all’esclusione delle donne ai processi decisionali e quindi come proteste contro gli ostacoli all’autodeterminazione femminile, oppure a causa di compensazioni giudicate insufficienti.

    I risultati dell’analisi mostrano che le attività estrattive producono sulle donne quattro tipi di impatti diversi: sulla loro salute e sul lavoro di cura che svolgono; sulle attività legate al sostentamento e al reddito; producono inoltre maggiore violenza nei loro confronti e influenzano le relazioni sociali all’interno delle comunità locali. Le quattro categorie di impatti non si escludono a vicenda, ma possono intrecciarsi tra loro. Di tutti i casi analizzati, il 67% indica conseguenze negative visibili o potenziali che riguardano specificamente le donne.

    In molte comunità rurali, infatti, i compiti quotidiani delle donne sono determinati dalla divisione di genere del lavoro. Occupandosi della produzione di cibo e della gestione dell’acqua, le donne sono particolarmente consapevoli degli impatti che le industrie estrattive hanno sul territorio e sull’ambiente, e sono spesso le prime a denunciarne le conseguenze negative. Le conseguenze sulla salute si devono principalmente alle fonti d’acqua contaminate con cui entrano in contatto che determinano malattie della pelle, problemi legati alla salute riproduttiva come perdita di fertilità e malformazioni durante la gravidanza, problemi respiratori dovuti all’inquinamento da polveri fino allo sviluppo di cancro. Impatti dello stesso tipo possono manifestarsi anche sulla salute di figli e di altri componenti della famiglia, aumentando così il carico del lavoro di cura svolto esclusivamente dalle donne.

    L’occupazione dei terreni coltivabili da parte delle industrie riduce inoltre l’accesso alle risorse, fonti tradizionali di reddito per loro. In questo modo la sicurezza economica delle donne diminuisce, mentre aumenta la dipendenza economica dal lavoro salariato degli uomini, alcuni dei quali lavorano proprio nei luoghi di estrazione.

    Attraverso questi meccanismi, la presenza delle industrie estrattive rafforza le dinamiche patriarcali esistenti nei territori, accrescendo il privilegio maschile e rafforzando il dominio degli uomini. Una condizione che porta le donne a perdere lo status economico, sociale e culturale e a subire anche diverse forme di violenza. Sono minacciate fisicamente, uccise per la loro opposizione all’attività mineraria o sopravvissute a tentativi di assassinio. È il caso di Nasreen Hug che stava preparando una causa internazionale contro il progetto minerario di Phulbari in Bangladesh quando è stata assassinata. Diodora Hernández e Yolanda Oqueli sono entrambe sopravvissute a tentativi di omicidio per il loro attivismo contro i progetti Marlin e El Tambor in Guatemala. Inoltre, la violenza sessuale è usata sia da chi lavora nelle compagnie estrattive sia dalle forze di sicurezza.

    Eppure, dai dati raccolti dalla pubblicazione, emerge che le donne non subiscono passivamente, ma partecipano attivamente all’organizzazione dell’opposizione alle industrie. Il documento distingue otto diverse modalità di protesta: azioni dirette come blocchi stradali, proteste e scioperi; organizzazione di eventi pubblici, come mostre o esibizioni artistiche; vigilanza del territorio, anche per monitorare gli impatti ambientali; promozione di campagne di sensibilizzazione e informazione; avvio di procedimenti legali contro le aziende responsabili di inquinamento; creazione di spazi per lo svolgimenti di attività sociali e politiche; pressione politica nei confronti delle autorità locali, del governo e delle stesse industrie per sensibilizzare alla loro causa e per garantire norme ambientali più severe; gestione dei bisogni materiali, sanitari ed emotivi della comunità come la preparazione di cibo durante le azioni di protesta.

    La pubblicazione è ricca di esempi di donne che hanno lottato e continuano a lottare per la difesa dell’ambiente in cui vivono. Alcune attiviste si sono distinte per aver rifiutato di vendere la terra alle aziende e per aver resistito ai tentativi di esproprio, come nel caso dell’opposizione di Maxima Acuña alla compagnia Yanacocha, promotrice del progetto Conga per l’estrazione di oro e rame in Perù. In Guatemala, Estela Reyes ha bloccato da sola l’avanzata di un trattore, scatenando la resistenza alla miniera d’oro di El Tambor. Altre forme di resistenza comprendono le attività portate avanti da Mukta Jhodia, in India, che ha attraversato i villaggi del Kashipur per informare la popolazione dei potenziali effetti negativi che la miniera di Baphlimali avrebbe avuto sui terreni coltivabili, e quelle di Lorraine Kakaza che in Sudafrica ha lanciato una serie di podcast sui costi che l’estrazione del carbone avrebbe avuto sulla vita delle persone nella provincia di Mpumalanga. Alcune attiviste hanno anche deciso di proseguire il loro impegno entrando in politica: Francia Márquez, leader che si opponeva all’estrazione illegale di oro a La Toma, è stata eletta a giugno 2022 vicepresidente della Colombia.

    Le donne svolgono molto più che un semplice ruolo di supporto, ma la loro capacità di impegnarsi nell’opposizione alle attività estrattive è spesso ostacolata. Se devono far fronte a compiti quotidiani che richiedono tempo, come la produzione di cibo, le faccende domestiche e la cura dei figli, hanno meno tempo da dedicare alla protesta. A volte subiscono pressioni da parte di familiari e di componenti della comunità ad abbandonare l’attivismo. L’analisi, infatti, mostra che esistono relazioni patriarcali anche all’interno dei movimenti di resistenza, che contribuiscono a riprodurre la disuguaglianza di genere anche all’interno dei gruppi di protesta. Le donne devono così affrontare sia le compagnie estrattive sia i partner maschili all’interno della comunità che in alcuni casi organizzano azioni di boicottaggio nei confronti dell’attivismo femminile.

    La volontà di affermare la propria voce nei processi decisionali anche all’interno dei movimenti di opposizione, ha spinto molto spesso la formazione di gruppi di protesta formati da sole donne, alleati a livello locale e internazionale con altri movimenti. Per gli autori della pubblicazione, l’attivismo anti-estrattivista delle donne può contribuire a sfidare le tradizionali percezioni di genere all’interno delle comunità e a promuovere cambiamenti collettivi più ampi in alcuni contesti. È il lavoro, per esempio, portato avanti dalle afrocolombiane di La Toma, in Colombia, e dalle boliviane di Huanuni e Corocoro. Il loro attivismo sta recuperando pratiche ancestrali ripensandole attraverso nuove relazioni con il territorio e all’interno delle comunità, affermando la possibilità di una leadership anche femminile.

    https://altreconomia.it/la-prima-analisi-globale-dellattivismo-delle-donne-contro-lindustria-es

    #femmes #résistance #extractivisme #justice_environnementale

  • Le non-respect de l’outil de travail est essentiel pour les luttes
    https://ricochets.cc/Le-non-respect-de-l-outil-de-travail-est-essentiel-pour-les-luttes.html

    Pour l’ouvrier et l’artisan, l’outil de travail est sacré, c’est l’instrument pour façonner la matière, créer, échanger, relationner avec la terre et les autres, et produire de quoi se nourrir et vivre. Seulement, que signifie « respecter l’outil de travail » dans le cadre du salariat capitaliste de masse où patrons et actionnaires possèdent les usines, les machines, les outils, et louent une force de travail humaine précarisée et mondialisée la moins chère possible en fonction des besoins fluctuants du (...) #Les_Articles

    / #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle

  • Retraites etc. : la tête de Macron « sur un billot » ne nous apaisera pas !
    https://ricochets.cc/Retraites-etc-la-tete-de-Macron-sur-un-billot-ne-nous-apaisera-pas.html

    Si Macron et sa meute de bourgeois n’ont aucune légitimité, ce n’est pas tellement parce qu’ils ont été « très mal élus » sans majorité et qu’ils sont très largement détestés, ce n’est pas parce qu’ils abusent du 49.3 et refusent tout dialogue ni débat, c’est surtout parce que le système en place n’est pas, et n’a jamais été, démocratique. Le système en place n’est pas, et n’a jamais été, démocratique. Le Roy Macron, dès avant son allocution TV, a une fois de plus réitéré son mépris du refus (ici très très large) (...) #Les_Articles

    / #Résistances_au_capitalisme_et_à_la_civilisation_industrielle, Révoltes, insurrections, débordements..., (...)

    #Révoltes,_insurrections,_débordements... #Révolution_
    https://dijoncter.info/reforme-des-retraites-la-manifestation-fait-disjoncter-la-republique-450
    https://labogue.info/spip.php?article1516
    https://lagrappe.info/spip.php?article112
    https://lenumerozero.info/Retour-sur-la-derniere-manifestation-a-Saint-Etienne-contre-le-49-3-6
    https://rebellyon.info/Lyon-la-nuit-est-sauvage-24664
    https://iaata.info/La-meilleur-retraite-c-est-l-attaque-Suivi-de-la-semaine-du-20-mars-5792.htm

  • Retraites etc. : échos du soulèvement en cours, une occasion historique d’aller beaucoup plus loin que de meilleures retraites !
    https://ricochets.cc/Retraites-etc-echos-du-soulevement-en-cours-une-occasion-historique-d-alle

    Terminé le mouvement social plutôt gentil et convenu coaché par les Intersyndicales qui visait à faire abroger une réforme de merde de plus, on passe à présent à une révolte politique et générale qui s’auto-organise, à un soulèvement qui veut en finir avec Macron et ses sbires, qui veut attaquer le capitalisme et instaurer la démocratie directe. Il faut l’assumer pleinement et accentuer la révolte, il faut que les grévistes prennent confiance, l’assument et s’émancipent des tutelles centrales. Il faut (...) #Les_Articles

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  • Retraites etc. : le gouvernement est déjà mort, poursuivons le plus loin possible !
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    Retirer cette réforme de merde ne suffira pas à éteindre le feu. On veut la chute du régime pour commencer, en guise d’apéritif. Les ordures de ministres et de députés du régime macroniste se terrent et fuient la « guillotine » du 49-.3 populaire, qu’ils s’enterrent définitivement avec les autres déchets et ne réapparaissent plus ! Le retrait de la réforme ne doit pas nous arrêter Cette fois, la grève dure se conjugue enfin à la giletjaunisation générale et les jeunes s’y mettent, le gouvernement est mort, (...) #Les_Articles

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