• #police #ViolencesPolicières #armes

    🛑 Maintien de l’ordre  : ces armes dangereuses utilisées en manifestation - Amnesty International France

    Gaz lacrymogènes, grenades explosives, lanceur de balles de défense, matraques… Partout dans le monde, la police utilise ce type d’armes dans le cadre de manifestations. Bien que qualifiées d’armes à létalité réduite, elles blessent et tuent. Et leur commerce est hors de contrôle. Focus sur la dangerosité de ces armes utilisées par la police et sur l’encadrement à adopter à l’échelle internationale (...)

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    ▶️ https://www.amnesty.fr/liberte-d-expression/actualites/maintien-de-l-ordre-ces-armes-dangereuses-utilisees-en-manifestation

  • Monde  : les manifestants victimes d’un usage abusif des armes par la police - Amnesty International France
    https://www.amnesty.fr/actualites/droit-de-manifester-monde-les-manifestants-victimes-d-un-usage-abusif-des-ar

    Lésions oculaires, fractures,mutilations… : des blessures graves, parfois mortelles. Partout dans le monde, les forces de sécurité utilisent de façon abusive des armes de maintien de l’ordre pour réprimer des manifestations pacifiques. Une pratique de plus en plus généralisée. Cette tendance mondiale pose la question, pressante, de la mise en place d’un encadrement de ces armes à létalité réduite afin de protéger le droit de manifester.

    Basé sur des recherches menées dans plus de 30 pays au cours de ces cinq dernières années, notre rapport révèle que des milliers de manifestants ont été mutilés et des dizaines d’autres tués suite à l’utilisation souvent inconsidérée et disproportionnée d’armes à létalité réduite comme les balles en caoutchouc et les grenades lacrymogènes lancées directement vers les manifestants. Alors que les armes à létalité réduite sont présentées comme des alternatives moins dangereuses que les armes à feu, elles sont trop souvent utilisées contre des manifestants pacifiques.

    Malgré les risques, le commerce des armes à létalité réduite ne fait l’objet d’aucune réglementation mondiale. Une réglementation doit être mise en place pour garantir la sécurité et les droits des manifestants.

    https://amnestyfr.cdn.prismic.io/amnestyfr/b1ee5d53-19ae-49f4-8d29-4ef51edf9678_MY_EYE_EXPLODED_REPORT_AM

    #police #violences_policières #manifestation #armes #armes_à_létalité_réduite #Amnesty_International

  • Surge in arms imports to Europe, while US dominance of the global arms trade increases

    Imports of major arms by European states increased by 47 per cent between 2013–17 and 2018–22, while the global level of international arms transfers decreased by 5.1 per cent. Arms imports fell overall in Africa (–40 per cent), the Americas (–21 per cent), Asia and Oceania (–7.5 per cent) and the Middle East (–8.8 per cent)—but imports to East Asia and certain states in other areas of high geopolitical tension rose sharply. The United States’ share of global arms exports increased from 33 to 40 per cent while Russia’s fell from 22 to 16 per cent, according to new data on global arms transfers published today by the Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI).


    https://www.sipri.org/media/press-release/2023/surge-arms-imports-europe-while-us-dominance-global-arms-trade-increases

    #armes #commerce_d'armes #armement #rapport #SIPRI #2022 #statistiques #chiffres

    • S’impenna l’import di armi in Europa. Gli Stati Uniti dominano il commercio globale

      Nel quinquennio 2018-2022 le importazioni di armi in Europa sono cresciute del 47%, mentre a livello globale è stata registrata una diminuzione del 5,1%. Gli Stati Uniti si confermano il primo esportatore nel mondo, assorbendo il 40% del mercato, la Russia, con il 16%, è staccata. I nuovi dati del Sipri e il ruolo della guerra in Ucraina

      La guerra russa in Ucraina ha spinto il trasferimento internazionale di armamenti e rilanciato la corsa europea al riarmo: nel 2022 Kiev è diventata il terzo maggiore importatore e il quattordicesimo nel quinquennio 2018-2022. È quanto emerge dal report “Trends in international arms transfers, 2022” pubblicato a marzo dall’Istituto indipendente di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri) e che evidenzia come, a fronte di un calo globale del trasferimento di armamenti (-5,1% rispetto al quinquennio 2013-2017), l’Europa registri invece un aumento del 47%. Con punte del 65% nei Paesi membri della Nato. Oltre all’Ucraina, nel continente i principali acquirenti sono il Regno Unito (che a livello globale si attesta al tredicesimo posto) e la Norvegia. Quasi il 60% di sistemi d’arma acquistati in Europa sono stati esportati dagli Stati Uniti, al secondo posto si piazza la Russia, con il 5,8% (l’export di Mosca, tuttavia, è limitato alla Bielorussia). “Anche se i trasferimenti di armi sono diminuiti a livello globale, quelli verso l’Europa sono aumentati notevolmente a causa delle tensioni tra la Russia e la maggior parte degli altri Stati europei -ha spiegato Pieter D. Wezeman, ricercatore senior del Programma trasferimenti di armi del Sipri-. Dopo l’invasione dell’Ucraina, i Paesi europei vogliono dunque importare più armi e più velocemente. Ma la competizione strategica continua anche altrove: le vendite di armamenti verso l’Asia orientale sono aumentate e quelle verso il Medio Oriente restano a un livello elevato”.

      Secondo le analisi del Sipri a livello globale le spese militari sono in crescita dal 2013 e nel 2021 (ultimo anno per cui ci sono dati disponibili) e hanno superato la soglia record dei duemila miliardi di dollari (2.113) un valore quasi raddoppiato rispetto a quello raggiunto a fine anni Novanta. In parallelo, però, i trasferimenti di armi sono calati del 5,1% a livello mondiale. A diminuire il proprio import nel periodo 2018-2022 rispetto ai cinque anni precedenti sono stati soprattutto i Paesi dell’Africa (-40%), delle Americhe (-21%), dell’Asia e dell’Oceania (-7,5%) e in Medio Oriente (-8,8%). Mentre a livello locale la vendita di armi è aumentata verso i Paesi coinvolti in scontri e tensioni geopolitiche, come in Ucraina, in Corea del Sud o Giappone.

      Nel periodo 2018-2022 gli Stati Uniti hanno aumentato il proprio peso sul mercato globale passando dal 33% al 40%. Mentre la quota di mercato del secondo grande produttore, la Russia, è passata dal 22% al 16%: negli ultimi cinque anni il Paese ha registrato un calo delle vendite di sistemi d’arma, principalmente a causa del conflitto in Ucraina, e il suo divario verso la Francia (il terzo esportatore globale) si è ridotto. Gli Stati Uniti hanno aumentato i propri trasferimenti del 14% negli ultimi cinque anni rispetto al quinquennio precedente. La Russia, invece, ha diminuito il proprio export del 31%, passando dal 22% al 16% del mercato: dieci dei suoi otto maggiori partner, in particolare l’India, hanno ridotto gli acquisti dal Pese, in controtendenza solo Cina ed Egitto. “È probabile che l’invasione dell’Ucraina limiti ulteriormente le esportazioni militari di Mosca. Questo perché darà la priorità al rifornimento delle proprie forze armate e la domanda da parte di altri Stati rimarrà bassa a causa delle sanzioni commerciali e delle crescenti pressioni da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati per non finanziare i russi”, ha aggiunto Wezeman.

      In parallelo la Francia ha aumentato le proprie esportazioni militari del 44%, dirette soprattutto verso Asia, Oceania e Medio Oriente. L’India, in particolare, ha ricevuto il 30% delle armi vendute da Parigi. “Questa tendenza sembra destinata a continuare, dato che alla fine del 2022 la Francia aveva un numero di ordini in sospeso per l’esportazione di armamenti di gran lunga superiore a quello della Russia”, sottolinea ancora il Sipri.

      Gran parte della corsa al riarmo è stata causata dalla guerra in Ucraina. Ad esempio, tra il 2018 e il 2021 il principale ordine di armamenti da parte della Polonia comprendeva 32 aerei militari e quattro sistemi difensivi terra-aria dagli Stati Uniti. Ma nel 2022 Varsavia ha annunciato l’acquisto di 394 tank, 96 elicotteri da combattimento e 12 sistemi difensivi dagli Usa oltre a mille carri armati e 48 aerei dalla Corea del Sud. La Germania, invece, ha acquistato a fine 2022 35 bombardieri progettati per il trasporto di testate nucleari tattiche e che sostituiranno i precedenti modelli (ne abbiamo scritto a dicembre).

      L’Italia è al 28esimo posto a livello globale per le importazioni di sistemi d’arma, che acquista quasi esclusivamente dagli Stati Uniti (92%) e ha diminuito i trasferimenti del 41%. In nostro Paese, però, è uno dei principali produttori, al sesto posto (con una quota di mercato del 3,8%) e un incremento del 45% rispetto alla media del periodo 2012-2017: Qatar (24% delle vendite), Egitto (23%) e Turchia (12%) sono le prime tre destinazioni delle armi prodotte in Italia. E secondo le analisi del Sipri, le vendite italiane continueranno a crescere: a fine 2022, infatti, Roma aveva ordini in sospeso per 115 aerei ed elicotteri da combattimento, nove navi da guerra e 1.703 veicoli corazzati.

      “A causa delle preoccupazioni sul fatto che la fornitura di aerei da combattimento e missili a lungo raggio avrebbe potuto aggravare ulteriormente la guerra in Ucraina, gli Stati della Nato hanno rifiutato le richieste del Paese nel 2022. Allo stesso tempo, però, hanno fornito tali equipaggiamenti ad altri Stati coinvolti in situazioni di conflitto, in particolare in Medio Oriente e nell’Asia meridionale”, segnala poi il Sipri.

      A livello globale i maggiori importatori restano Asia e Oceania, che hanno ricevuto il 41% dei trasferimenti di armamenti, in queste due regioni infatti si trovano sei dei dieci maggiori acquirenti a livello globale: Australia, Cina, Corea del Sud, Pakistan, India e Giappone. Nell’area le importazioni sono state spinte verso l’alto dalle tensioni tra Corea del Nord e del Sud oltre che dal confronto tra Cina e Giappone. Tra il quinquennio 2013-2017 e il 2018-2022 Seoul ha aumentato del 61% i propri acquisti di sistemi d’arma e mentre nello stesso periodo Tokyo ha registrato un impressionante +171%. Infine l’Australia le ha aumentate del 23%. Anche le tensioni geopolitiche tra India e Pakistan hanno fatto crescere gli acquisti militari di entrambi i Paesi. L’India, nonostante un calo del 10%, rimane il maggior importatore a livello globale mentre il Pakistan risulta all’ottavo posto ricevendo per la maggior parte materiale di fabbricazione cinese.

      In Medio Oriente vi sono tre dei maggiori importatori di materiale bellico, Egitto, Qatar (i due più importanti partner dell’Italia) e l’Arabia Saudita, il secondo acquirente globale dopo l’India. L’Arabia Saudita, sempre tra 2018 e 2022, ha ricevuto 91 aerei da guerra e più di 20mila bombe guidate dagli Stati Uniti. Il Qatar ha quadruplicato le sue importazioni negli ultimi cinque anni, in particolare da Stati Uniti e Italia. Il Paese ha comprato 36 cacciabombardieri dalla Francia e altrettanti dagli Stati Uniti, oltre a tre fregate dall’Italia.

      https://altreconomia.it/simpenna-limport-di-armi-in-europa-gli-stati-uniti-dominano-il-commerci

  • Pendant ce temps-là, les puissances occidentales mettent en ordre de bataille les esprits et transforment à vitesse accélérée leurs économies en «  économies de guerre  »

    Contre la guerre en Ukraine et sa généralisation
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/02/25/contre-la-guerre-en-ukraine-et-sa-generalisation_521781.html

    Poutine, qui nie jusqu’à l’existence d’une nation ukrainienne, aura, par son sanglant mépris des peuples, contribué à ce que s’affirme le sentiment d’appartenir à l’Ukraine, alors qu’il peinait à prendre corps malgré les efforts du pouvoir et des nationalistes.

    L’échec relatif de Poutine résulte, entend-on souvent, de la mobilisation d’un peuple dressé pour défendre sa patrie, rien de tel ne motivant les soldats russes. Certes. Mais ce n’est qu’une partie de la réalité. Si l’Ukraine a tenu bon, malgré une industrie et une armée a priori moins fortes que celles du Kremlin, elle le doit avant tout à la trentaine de membres de l’OTAN, dont les États-Unis, l’Allemagne, la Grande-Bretagne, la France, qui l’ont armée, financée et soutenue de bien des façons. Et ils ne cessent de surenchérir en ce domaine, tel Biden encore le 20 février à Kiev.

    Quand les pays de l’OTAN livrent à l’Ukraine des armements de plus en plus sophistiqués, de plus en plus efficaces, ils poursuivent un objectif immédiat proclamé  : éviter la défaite de l’Ukraine et faire durer la guerre afin d’affaiblir la Russie, et si possible la mettre à genoux.

    Cela pour montrer au monde entier ce qu’il en coûte de ne pas s’incliner devant l’ordre impérialiste. Les propos de Biden à Varsovie  : «  L’Ukraine ne sera jamais une victoire pour la Russie  », son refus affiché de toute négociation avec Poutine, le fait que les dirigeants occidentaux ont tous adopté la même posture et le même langage ces derniers temps, tout cela va dans le même sens.

    Le conflit en cours n’est pas la principale raison d’une escalade que l’Occident mène tambour battant. Il fait aussi office de toile de fond pour une mise en ordre de bataille des esprits, ne serait-ce que par la banalisation d’une guerre qui s’installe pour durer, dans une Europe qui n’en avait plus connu depuis 1945, exception faite des bombardements de la Serbie par l’OTAN, il y a un quart de siècle.

    Une mise sur le pied de guerre qui vaut aussi pour les économies de chaque pays, dans un monde capitaliste qui s’enfonce dans la crise sans que ses dirigeants y voient d’issue. Certes, les dirigeants du monde capitaliste n’ont pas encore choisi la fuite en avant vers une conflagration généralisée, comme celle qui conduisit à la Première et à la Deuxième Guerre mondiale, mais rien ne garantit que le conflit ukrainien ne risque pas, à tout moment, de précipiter l’humanité dans une nouvelle guerre mondiale.

    Le conflit en Ukraine sert déjà de terrain d’entraînement aux États impérialistes pour préparer l’éventualité d’un affrontement dit de haute intensité, que les états-majors militaires et politiques envisagent explicitement. Il sert aussi aux chefs de file de l’impérialisme à renforcer des blocs d’États alliés, avec leurs réseaux de bases sur le pourtour de la Russie et de la Chine.

    sommant les autres États de se rallier à ces alliances militaires et d’adopter des trains de sanctions contre la Russie, même quand cela va à l’encontre de leurs intérêts et de ceux, sonnants et trébuchants, de leurs capitalistes. On le constate pour l’arrêt des importations de gaz et de pétrole russes, l’interdiction de commercer avec la Russie, d’y maintenir des activités industrielles, ce qui pénalise des pays européens, dont l’Allemagne et la France, mais profite aux États-Unis.

    Si un fait nouveau, capital pour l’avenir de l’humanité, s’est fait jour au feu de cette guerre, c’est l’évolution rapide de la situation mondiale dans le sens de sa #militarisation.

    Poutine a répondu de façon monstrueuse à la pression continue de l’impérialisme en Europe de l’Est en lançant ses missiles et ses tanks sur l’Ukraine le 24 février 2022. Mais c’est l’impérialisme qui s’est préparé depuis longtemps à aller à la confrontation.

    ... à plonger tôt ou tard l’Ukraine dans la guerre, donc à faire de ses habitants les otages d’une rivalité qui les dépasse, car elle oppose le camp mené par les États-Unis à la Russie, avec son dictateur, ses bureaucrates et ses oligarques pillards. D’un côté ou de l’autre, il n’y a nulle place pour le droit des peuples à décider de leur destinée, même si on veut nous le faire croire.

    L’ex-chancelière Angela Merkel n’en croit rien. Elle le dit dans une interview où elle revient sur la crise qui s’ouvrit en février 2014, quand le président ukrainien d’alors, contesté par la rue et surtout lâché par des secteurs de la bureaucratie et de l’oligarchie, dut s’enfuir. Le pouvoir issu du #Maïdan s’alignant sur les États-Unis, Poutine récupéra alors la #Crimée et poussa le Donbass à faire sécession. Les accords de Minsk, que Merkel parrainait avec Hollande et auxquels avaient souscrit Moscou et Kiev, devaient régler pacifiquement le différend, prétendait-elle à l’époque. Elle avoue désormais qu’il s’agissait d’un leurre. «  Poutine, explique-t-elle, aurait [alors] pu facilement gagner. Et je doute fortement que l’OTAN aurait eu la capacité d’aider l’Ukraine comme elle le fait aujourd’hui. […] Il était évident pour nous tous que le conflit allait être gelé, que le problème n’était pas réglé, mais cela a justement donné un temps précieux à l’Ukraine.  » Et à l’OTAN pour préparer l’affrontement avec Moscou.

    Le conflit couvait depuis l’effondrement de l’#URSS en 1991. Dès ce moment-là, États-Unis et Union européenne furent à la manœuvre pour aspirer l’Europe de l’Est dans l’orbite de l’OTAN. Des conseillers de la Maison-Blanche expliquaient qu’il fallait détacher l’Ukraine de la Russie, pour que celle-ci n’ait plus les moyens de redevenir une grande puissance.

    Or, après les années Eltsine (1991-1999), d’effondrement économique, d’éclatement de l’État et de vassalisation humiliante du pays par l’Occident, Poutine et la bureaucratie russe voulaient restaurer la #Grande_Russie.

    Une première tentative de l’Occident pour aspirer l’Ukraine eut lieu en 2004 sous l’égide du tandem ­Iouchtchenko­-­Timochenko, tombeur du pro-russe Ianoukovitch. Elle tourna court, la population, dégoûtée, finissant par rappeler Ianoukovitch. Elle allait le chasser à nouveau en 2014. Cette fois fut la bonne pour le camp occidental et signifiait la guerre  : dans le #Donbass, que l’armée de Kiev et des troupes d’extrême droite disputaient aux séparatistes, elle fit 18 000 morts et des centaines de milliers de réfugiés. Huit ans plus tard, tout le pays bascula dans l’horreur.

    Les dirigeants américains et européens savaient que Moscou ne pouvait accepter une Ukraine devenue la base avancée de l’OTAN. Ils savaient quels risques mortels leur politique impliquait pour les Ukrainiens, et pour la jeunesse russe que Poutine enverrait tuer et se faire tuer. Cette guerre, l’OTAN l’avait rendue inéluctable depuis 2014, en armant, entraînant, conseillant l’#armée_ukrainienne et les troupes des nationalistes fascisants.

    Les dirigeants occidentaux n’en avaient cure, car faire la guerre avec la peau des peuples est une constante de la politique des puissances coloniales, puis impérialistes. On le vérifie encore une fois dans le sang et la boue des tranchées en #Ukraine, dans les ruines des HLM de #Kharkiv, #Kherson ou #Donetsk que les missiles des uns ou des autres ont fait s’effondrer sur leurs habitants. N’en déplaise aux médias d’ici qui ressassent la fable d’un conflit soudain opposant le petit David ukrainien isolé et désarmé qu’agresserait sans raison le grand méchant Goliath russe.

    À l’occasion du premier l’anniversaire de l’invasion de l’Ukraine, on a eu droit au rouleau compresseur d’une #propagande sans fard dans les #médias. Il y aurait le camp du Mal (la Russie, l’Iran et surtout la Chine), face au camp du Bien, celui des puissances qui, dominant la planète, y garantissent la pérennité du système d’exploitation capitaliste au nom de la démocratie ou de la sauvegarde de pays comme l’Ukraine, dès lors qu’ils leur font allégeance.

    Cette propagande massive vise à s’assurer que l’opinion publique adhère sans réserve à ce qu’on lui présente comme la défense d’un peuple agressé, en fait, à la guerre que mènent les grandes puissances par Ukrainiens interposés. Car, au-delà de ce qu’il adviendra de la Russie et du régime de Poutine – une des préoccupations contradictoires des États impérialistes, qui disent vouloir la victoire de Kiev tout en craignant qu’une défaite de Poutine déstabilise de façon incontrôlable la Russie et son «  étranger proche  » – ces mêmes États visent un objectif au moins aussi important pour eux. Ils veulent enchaîner à leur char de guerre leur propre population, dans le cadre ukrainien, tout en ayant en vue des conflits plus larges à venir.

    En fait, le conflit ukrainien a tout du prologue d’un affrontement plus ou moins généralisé, dont politiques, généraux et commentateurs désignent déjà la cible principale  : la Chine. Ainsi, Les Échos du 15 février a mis à sa une un article qui titrait  : «  Pour l’Amérique, la Chine redevient l’ennemi numéro un  », après que «  la guerre en Ukraine [avait un temps détourné son attention] de la confrontation  » avec la Chine.

    Déjà, les steppes, les villes et le ciel d’Ukraine servent autant aux états-majors et industriels occidentaux à affronter la #Russie, par soldats ukrainiens interposés, qu’à tester sur le vif leurs #blindés, pièces d’#artillerie, #systèmes_de_commandement, de communication, d’interception, de renseignement, et à en tirer les leçons voulues. Ils y voient aussi une aubaine pour se débarrasser de #munitions et d’engins plus ou moins anciens que les combats vont consommer . Conséquence favorable pour eux, cela justifie l’escalade des livraisons d’armes et, de ce fait, l’explosion des #budgets_militaires afin de doper les #industries_de_guerre.

    Cette conjoncture permet à des États d’engranger des commandes, parfois énormes, de pays dépendants de protecteurs plus puissants et des leaders des marchés de l’#armement.

    Ainsi, Varsovie a envisagé de donner à Kiev des vieux Mig-29 de conception soviétique pour les remplacer par des F-16 américains, et promis de lui livrer d’anciens chars Leopard, qu’elle remplacera par de nouveaux modèles. Évidemment, cela ne fait l’affaire ni de Dassault ni du char Leclerc français qui peine à trouver preneur. C’est que, même alliés au sein de l’OTAN, voire soucieux d’afficher leur unité, comme Biden l’a souligné lors de la promesse que lui et Scholtz ont voulue simultanée de livrer des tanks à Kiev, les États impérialistes restent rivaux sur ce terrain, comme sur d’autres. Les États-Unis se réservent la part du lion, avec des commandes d’armement qui ont doublé en 2022, à la mesure de leur puissance industrielle, de leur suprématie militaire… et des guerres à venir.

    Ces commandes d’armes pour l’Ukraine, qui s’ajoutent à celles que l’on dit destinées à remettre à niveau chaque armée occidentale, servent autant à tenir la dragée haute à #Poutine qu’à transformer à vitesse accélérée les #économies occidentales en «  #économies_de_guerre  », selon les termes même du programme que se sont fixé les ministres de la Défense des pays de l’#OTAN, lors de leur sommet des 14-15 février à Bruxelles. Depuis des mois, les dirigeants politiques occidentaux et plus encore les chefs de leurs armées discutent publiquement et concrètement d’une guerre généralisée qu’ils savent s’approcher. Ainsi, à Brest, l’#amiral_Vandier, chef d’état-major de la Marine, a lancé à la nouvelle promotion d’élèves-­officiers  : «  Vous entrez dans une Marine qui va probablement connaître le feu à la mer.  » Certains avancent même une date pour cela, tel le général Minihan, chef des opérations aériennes aux #États-Unis  : «  J’espère me tromper, mais mon intuition me dit que nous nous affronterons en 2025  » avec la #Chine.

    Ukraine  : un effroyable bilan humain, social et économique

    En attendant, la guerre en Ukraine a déjà tué ou blessé 180 000 militaires russes, à peine moins de soldats ukrainiens, et tué plus de 30 000 civils, estime le chef de l’armée norvégienne, membre de l’OTAN. 7,5 millions d’Ukrainiens ont trouvé refuge en Pologne, Slovaquie, Autriche, etc., et en Russie. Parmi eux se trouvent une écrasante majorité de femmes et d’enfants, car les hommes de 18 à 60 ans, mobilisables, ont l’interdiction de quitter le territoire. Il y a aussi plusieurs millions de déplacés dans le pays même.

    De nombreuses villes, grandes ou petites, ont été bombardées, parfois rasées, les infrastructures énergétiques partout frappées, ce qui a plongé la population dans l’obscurité et le froid. Le montant des destructions de routes, ponts, voies ferrées, ports, aéroports, entreprises, écoles, hôpitaux, logements… atteignait 326 milliards de dollars, selon ce qu’estimait le Premier ministre en septembre dernier. Ce montant, déjà colossal, n’a pu que croître depuis, ne serait-ce que parce qu’il s’accompagne d’énormes détournements qu’ont effectués et que vont effectuer ministres, généraux, bureaucrates et oligarques ukrainiens.

    Zelensky a reconnu la corruption de l’appareil d’État jusqu’au sommet quand il a limogé une partie de son gouvernement, dont les ministres de la Défense et de la Reconstruction, et plusieurs très hauts dirigeants. Cela ne change rien à la nature d’un État qui, source principale des nantis comme en Russie, est l’un des plus corrompus au monde  : plus que l’État russe, dit-on, ce qui n’est pas rien. En fait, Zelensky n’avait pas le choix  : une commission américaine de haut niveau avait débarqué à Kiev pour vérifier ce que devenait l’aide colossale fournie par l’oncle d’Amérique. Après tout, même si l’État américain est richissime, il a aussi ses bonnes œuvres (industriels de l’armement, financiers, capitalistes de haut vol) et ne veut pas qu’une trop grosse part des profits de guerre file dans poches des bureaucrates, oligarques et maffieux ukrainiens.

    Et puis, au moment même où l’Occident annonçait fournir des tanks à l’État ukrainien, il ne s’agissait pas que le régime apparaisse pour ce qu’il est  : celui de bandits prospérant sur le dos de la population. Cela s’adressait moins à l’opinion occidentale, qui ne connaît de la situation que ce qu’en disent les médias, qu’à la population ukrainienne.

    Victime des bombardements et exactions de l’armée russe, elle se rend compte qu’elle est aussi la victime des parasites de la haute bureaucratie, des ministres véreux ou des généraux voleurs. Et l’union sacrée n’a pas fait disparaître les passe-droits qui permettent aux nantis de profiter en paix de leur fortune à l’étranger, tandis que leurs sbires de la police raflent les hommes, valides ou pas, pour le front. Les résistances que cela provoque ici ou là n’ont rien pour étonner dans un tel contexte, d’autant que, si l’armée a d’abord pu compter sur des volontaires, ceux qu’elle mobilise maintenant n’en font, par définition, pas partie.

    Tout à leurs commentaires dithyrambiques sur un régime censé incarner la démocratie et l’unité d’un peuple derrière ses dirigeants, les médias français préfèrent tirer un voile pudique sur des faits qui pourraient gâcher leur tableau mensonger.

    [...] Le régime de la bureaucratie russe et de ses oligarques milliardaires, lui-même bien mal en point socialement et économiquement, corrompu, policier et antiouvrier, ne peut représenter aucun avenir pour la population ukrainienne, même russophone.

    Quant au régime qu’incarne Zelensky, ce chargé de pouvoir des grandes puissances et de leurs trusts qui lorgnent sur les richesses agricoles et minières de l’Ukraine ainsi que sur sa main-d’œuvre qualifiée, afin de l’exploiter avec des salaires misérables , ce qui a commencé dès 2014, le conflit lui a sans doute sauvé la mise, au moins dans un premier temps. Comme dans toute guerre, la population s’est retrouvée bon gré mal gré derrière un pouvoir qui se faisait fort de la défendre. Mais gageons que de larges pans des classes populaires n’ont pas oublié pour autant ce qu’avait fini par leur inspirer cet acteur devenu président, qui avait joué au «  serviteur du peuple  » pour mieux préserver les intérêts des nantis.

    S’affrontant sur le terrain par peuples interposés, les dirigeants occidentaux, représentants d’une bourgeoisie impérialiste qui domine le monde, les dirigeants russes, représentants des parasites qui exploitent les travailleurs de Russie, les dirigeants ukrainiens, représentants de leurs oligarques autant que des trusts occidentaux, sont tous des ennemis des classes populaires, de la classe ouvrière.

    Et les travailleurs, où qu’ils se trouvent, quelle que soit leur nationalité, leur langue ou leur origine, n’ont aucune solidarité à avoir, sous quelque prétexte que ce soit, avec «  l’ennemi principal qui est toujours dans notre propre pays  », comme disait le révolutionnaire allemand Karl Liebknecht en 1916, en pleine Première Guerre mondiale.

    Partout, la marche à une économie de guerre

    Le 6 février, Antonio Guterres, secrétaire général de l’ONU [...] : «   Le monde se dirige les yeux grand ouverts [vers] une guerre plus large .  »

    On vient d’en avoir la confirmation au sommet des ministres de la Défense des membres de l’OTAN. Il leur a été demandé, selon Les Échos, «  de passer en #économie_de_guerre  », de relancer et activer la #production_d’armements, et d’abord d’#obus, de #chars et de pièces d’artillerie, pour faire face à «  une #guerre_d’usure  » en Ukraine. Et de préciser que si, il y a dix ans, les États-Unis demandaient à leurs alliés de monter leurs #dépenses_militaires à 2 % de leur produit intérieur brut, ce chiffre est désormais considéré comme un plancher que beaucoup ont dépassé. La conférence sur la sécurité en Europe qui a suivi, à Munich, a réuni la plupart des dirigeants européens et mondiaux pour aller dans le même sens.

    C’est ce qu’ils font en cherchant à persuader leur population de l’inéluctabilité de la guerre  ; en lui désignant comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine  ; en déployant une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers  ; en mettant l’accent sur la préparation de la #jeunesse à servir «  sa  » nation, à la défendre, sans jamais dire qu’il s’agira de la transformer en #chair_à_canon pour les intérêts des classes possédantes. Le gouvernement français s’en charge avec son #Service_national_universel, qui vise à apprendre à des jeunes à marcher au pas, avec des reportages télévisés plus ou moins suscités sur le service à bord de navires de guerre, sur des régions sinistrées (Saint-Étienne) où la reprise de la production d’armes ferait reculer le chômage. Le nouveau ministre allemand de la Défense se situe sur le même terrain, lui qui veut rétablir le service militaire et faire de la Bundeswehr la première armée du continent grâce aux 100 milliards de hausse de son #budget.

    En juin dernier, Macron avait annoncé la couleur avec son plan Économie de guerre doté par l’État de 413 milliards sur sept ans. Il fallait «  aller plus vite, réfléchir différemment sur les rythmes, les montées en charge, les marges, pour pouvoir reconstituer plus rapidement ce qui est indispensable pour nos #armées, pour nos alliés ou pour celles [comme en Ukraine] que nous voulons aider  ». Et, s’adressant aux dirigeants de l’organisme qui regroupe les 4 000 entreprises du secteur militaire, il leur avait promis des décisions et, surtout, des #investissements. Pour les #profits, la guerre est belle…

    Bien au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial, qui va s’aggravant sans que quiconque dans les milieux dirigeants de la bourgeoisie en Europe et en Amérique sache comment y faire face.

    Comme à chaque fois que le monde se trouve confronté à une telle situation, la bourgeoisie et ses États en appellent à l’industrie d’armement pour relancer l’économie. Car, grâce au budget militaire des États, elle échappe à la chute de la demande qui affecte les secteurs frappés par la baisse du pouvoir d’achat des couches populaires et, en dopant le reste de l’économie par des commandes de machines, de logiciels, de matériaux, de matières premières, etc., la bourgeoisie peut espérer que cela l’aidera à maintenir le taux de profit général.

    [...] même quand certains prétendent chercher une solution de paix à une guerre que leur politique a suscitée, la logique de leur politique d’armement continu de l’un des deux camps sur le terrain, celle de la militarisation de l’économie de nombreux pays sur fond d’une crise générale dont l’évolution leur échappe, tout cela fait que, de la guerre en Ukraine à un conflit plus large, la distance pourrait être bien plus courte qu’on ne le croit.

    Contrairement à ce qu’affirme Guterres, ce n’est pas toute l’humanité qui avance vers l’abîme les yeux grands ouverts. Les dirigeants politiques de la bourgeoisie ne peuvent pas ne pas voir ce qu’ils trament, eux, et dans quels intérêts, ceux de la bourgeoisie. Cela, ils le discernent en tout cas bien mieux que les masses du monde entier, auxquelles on masque la réalité, ses enjeux et son évolution qui s’accélère.

    Oui, en Ukraine, en Russie, comme partout ailleurs, le niveau de la conscience et de l’organisation de la classe ouvrière est très en retard sur cette course à la guerre dans laquelle la bourgeoisie engage l’humanité. Et plus encore au regard de ce qu’il faudrait pour l’enrayer, la transformer en guerre de classe pour l’émancipation des travailleurs du monde entier.

    C’est ce que firent les bolcheviks en Russie en 1917, en pleine guerre mondiale. C’est sur cette voie qu’il faut que s’engagent, en communistes révolutionnaires et internationalistes, en militants de la seule classe porteuse d’avenir, le prolétariat, toutes celles et tous ceux qui veulent changer le monde avant qu’il ne précipite à nouveau l’humanité dans la barbarie. Alors, pour paraphraser ce que Lénine disait de la révolution d’Octobre  : «  Après des millénaires d’esclavage, les esclaves dont les maîtres veulent la guerre leur [répondront]  : Votre guerre pour le butin, nous en ferons la guerre de tous les esclaves contre tous les maîtres.  »

    #guerre_en_ukraine #capitalisme #crise

    • Royaume-Uni : hausse significative du budget militaire

      A l’occasion de la mise à jour de sa doctrine de politique étrangère, le Royaume-Uni a annoncé son intention de porter à terme son #budget_défense à 2,5 % du PIB.

      Face aux « nouvelles menaces », le #Royaume-Uni va investir cinq milliards de livres supplémentaires dans sa politique de défense. Cette rallonge va porter ce budget à 2,25 % du PIB à horizon 2025, un redressement jamais vu depuis la guerre froide.
      Cette enveloppe doit permettre de « reconstituer et de renforcer les stocks de #munitions, de moderniser l’entreprise nucléaire britannique et de financer la prochaine phase du programme de #sous-marins_Aukus », a souligné Downing Street dans un communiqué, le jour même de la signature à San Diego du contrat entre l’Australie, les Etats-Unis et le Royaume-Uni. A terme, l’objectif est de revenir à des dépenses militaires équivalentes à 2,5 % du PIB, bien au-dessus de l’engagement pris au niveau de l’#Otan (2 % du PIB).

      Ces annonces interviennent au moment où le Royaume-Uni met à jour sa doctrine de politique étrangère dans un document de 63 pages qui fait la synthèse des principaux risques pour la sécurité du pays. La dernière mouture, publiée il y a trois ans, exposait les ambitions de la « Global Britain » de Boris Johnson au lendemain du Brexit. La #Russie y était identifiée comme la principale menace pour la sécurité. La #Chine était qualifiée de « défi systémique » et le document annonçait un « pivot » du Royaume-Uni vers l’axe Indo-Pacifique.
      Les tendances observées sont toujours les mêmes, mais « elles se sont accélérées ces deux dernières années », observe cette nouvelle revue. « Nous sommes maintenant dans une période de risques renforcés et de volatilité qui va probablement durer au-delà des années 2030 », note le rapport.

      (Les Échos)

      #militarisation #impérialisme

    • Les importations d’armes en Europe en forte hausse

      Les #achats_d'armement ont quasiment doublé l’an dernier sur le sol européen

      Depuis le début de la guerre en Ukraine, l’Europe s’arme massivement. C’est ce que confirme le dernier rapport de l’#Institut_international_de_recherche_sur_la_paix_de_Stockholm (Sipri), publié lundi. Hors Ukraine, les #importations_d'armements sur le Vieux Continent se sont envolées de 35 % en 2022. En intégrant les livraisons massives d’#armes à l’Ukraine, elles affichent une hausse de 93 %.

      […] Sur la période 2018-2022, privilégiée par le #Sipri pour identifier les tendances de fond, les importations d’armes européennes affichent ainsi une hausse de 47 % par rapport aux cinq années précédentes, alors qu’au niveau mondial, les transferts internationaux d’armes ont diminué de 5,1 % sur cette période. Un contraste majeur qui témoigne de la volonté des Européens d’« importer plus d’armes, plus rapidement », explique Pieter ​Wezeman, coauteur du rapport.
      Dans cette optique, outre les industriels locaux, les Européens comptent sur les #Etats-Unis. Sur la période 2018-2022, ces derniers ont représenté 56 % des #importations_d'armes de la région. Le premier importateur en #Europe a été le Royaume-Uni, suivi de l’#Ukraine et de la Norvège.
      […]

      En France, #Emmanuel_Macron a proposé une augmentation de 100 milliards d’euros pour la loi de programmation militaire 2024-2030 par rapport à la période 2019-2025. Le Premier ministre britannique, #Rishi_Sunak, vient pour sa part d’annoncer que le #Royaume-Uni allait investir 5 milliards de livres (5,6 milliards d’euros) supplémentaires dans la défense, dans un contexte de « nouvelles menaces venues de #Russie et de #Chine ». Plus symbolique encore, l’Allemagne du chancelier #Olaf_Scholz a annoncé, en mai 2022, le lancement d’un fonds spécial de 100 milliards pour moderniser son armée et rompre avec des décennies de sous-investissement.

      (Les Échos)

      #militarisation

    • La France s’apprête à relocaliser sur son sol une vingtaine de productions industrielles militaires , révèle mardi franceinfo. Ces relocalisations sont une déclinaison de « l’économie de guerre » réclamée par l’Élysée.

      Le mois dernier, on a appris que la France s’apprêtait à relocaliser la production de #poudre pour ses obus d’artillerie (de 155mm). Selon nos informations, en tout, il y aura une vingtaine de relocalisations stratégiques en France.

      Dans le détail, la France va donc de nouveaux produire sur son territoire des #coques de bateaux produites jusqu’à présent dans les pays de l’Est, des explosifs pour gros calibres produits en Suède, Italie ou encore Allemagne, mais, surtout, des pièces jugées « critiques » pour certains moteurs d’hélicoptères. On parle ici précisément des disques des turbines haute-pression des bi-moteurs RTM322. Jusqu’à présent, ces pièces étaient élaborées aux Etats-Unis puis forgées en Angleterre. Bientôt, l’élaboration et la forge seront faites en France dans l’usine #Aubert_et_Duval située dans le Puy-de-Dôme. […]

      (France Info)

      #militarisation #relocalisation #industrie_de_la_défense

    • Emmanuel Chiva est à la tête (de l’emploi) de la direction générale de l’armement (DGA). Son sale boulot : mettre en œuvre l’« économie de guerre » voulue par Macron.

      Un type qui pratique au quotidien "l’argent magique" et un "pognon de dingue" (public) au service des capitalistes de l’armement. Le principe : un vol à grande échelle des fruits du travail de millions de travailleurs pour produire en masse du matériel de destruction massive.

      Pour nous en faire accepter les conséquences (les futures baisses du pouvoir d’achat, les hôpitaux fermés, les écoles surchargées, les enseignants en sous-effectif, les transports dégradés, un budget de l’État écrasé par la dette, etc.), Le Monde lui tend ses colonnes : « Nous sommes entrés dans l’économie de guerre »
      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/03/15/emmanuel-chiva-dga-nous-sommes-entres-dans-l-economie-de-guerre_6165595_3210

    • La marche vers un économie de guerre
      https://lutte-ouvriere.be/la-marche-vers-un-economie-de-guerre

      [...] Les USA augmentent fortement leur budget militaire, l’Allemagne débloque 100 milliards pour l’armée, la France annonce plus de 400 milliards de budget pour les prochaines années et en Belgique, 14 milliards de dépenses guerrières supplémentaires sont prévues d’ici 2030.

      Pour faire accepter l’envolée des dépenses militaires, alors que partout les besoins des populations sont criants, les dirigeants des pays capitalistes cherchent à persuader de l’inéluctabilité de la guerre. Ils désignent comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine, et déploient une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers.

      Les gouvernements mettent aussi l’accent sur la préparation de la jeunesse qu’ils comptent utiliser comme chair à canon. L’Etat belge s’en est chargé en ouvrant cette année, dans 13 écoles de la fédération Wallonie Bruxelles, une option « métiers de la Défense et de la sécurité » dans laquelle des jeunes sont préparés à devenir agent de sécurité, policier ou militaire, à partir de la quatrième secondaire technique !

      Au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial qui ne fait que s’aggraver.

    • Vers un doublement du budget militaire / Le Japon tourne la page du pacifisme
      https://www.monde-diplomatique.fr/2023/03/POUILLE/65605

      Ce samedi 27 novembre 2021, le premier ministre japonais Kishida Fumio effectue une visite matinale des troupes de défense terrestre sur la base d’Asaka, au nord de Tokyo. Après un petit tour en char d’assaut, il prononce un discours de rupture : « Désormais, je vais envisager toutes les options, y compris celles de posséder des capacités d’attaque de bases ennemies, de continuer le renforcement de la puissance militaire japonaise. » Selon le chef du gouvernement, « la situation sécuritaire autour du Japon change à une vitesse sans précédent. Des choses qui ne se produisaient que dans des romans de science-fiction sont devenues notre réalité ». Un an plus tard, M. Kishida annonce le doublement des dépenses de #défense et débloque l’équivalent de 315 milliards de dollars sur cinq ans. Le #Japon va ainsi disposer du troisième budget militaire du monde derrière ceux des États-Unis et de la Chine. Il représentera 2 % du produit intérieur brut (PIB), ce qui correspond à l’engagement pris en 2014 par les vingt-huit membres de l’Organisation du traité de l’Atlantique nord (#OTAN)… dont il ne fait pourtant pas partie.

      Ces décisions — qui s’inscrivent dans le cadre de la nouvelle « stratégie de sécurité nationale » dévoilée en août 2022 — changent profondément les missions des forces d’autodéfense, le nom officiel de l’#armée_nippone. Elles ne s’en tiendront plus, en effet, à défendre le pays mais disposeront des moyens de contre-attaquer. Et même de détruire des bases militaires adverses.

      Cette #militarisation et cette imbrication renforcée avec les États-Unis sonnent, pour la presse chinoise, comme dune dangereuse alerte. Certes, les rapports sino-japonais s’étaient déjà dégradés quand Tokyo avait acheté, le 11 septembre 2012, trois des îles Senkaku/Diaoyu à leur propriétaire privé et que, dans la foulée, Pékin avait multiplié les incursions dans la zone (8). Les visites régulières d’Abe au sanctuaire Yasukuni, qui honore la mémoire des criminels de guerre durant la seconde guerre mondiale, n’avaient rien arrangé.

      Mais le climat s’était plutôt apaisé dans la dernière période. « J’étais parvenu à un consensus important [avec Abe] sur la construction de relations sino-japonaises répondant aux exigences de la nouvelle ère (9) », a même témoigné le président chinois après l’assassinat de l’ex-premier ministre, en juillet 2022. Depuis l’annonce de la nouvelle stratégie de défense, le ton a changé.

      [...] en tournant le dos brutalement à sa politique pacifiste, le Japon se place en première ligne face à Pékin et éloigne tout espoir d’autonomie vis-à-vis des États-Unis. Cette impossible entrée dans l’après-guerre froide cohabite pourtant avec un dynamisme régional haletant où, de Hanoï à Colombo, ce pays vieillissant a construit les leviers de sa future croissance. Il y est en concurrence directe avec la Chine, très présente. Déjà, la plupart des pays asiatiques refusent de choisir entre Pékin et Washington, qui leur promet la sécurité. Et avec Tokyo ?

      (Le Monde diplomatique, mars 2023)

      #budget_militaire

    • Le géant de l’armement Rheinmetall surfe sur la remilitarisation de l’Europe (Les Échos)

      L’entrée au DAX, lundi, du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe consacre le retour en force des combats conventionnels terrestres. Après une année 2022 record, Rheinmetall s’attend à faire mieux encore en 2023.

      Ce lundi, Armin Papperger, le patron de Rheinmetall, se fera un plaisir de sonner la cloche de la Bourse de Francfort pour marquer l’entrée de son groupe dans le Dax après une année record. Son cours a doublé et sa valorisation avoisine 10,5 milliards d’euros. « Le changement d’ère et la guerre en Europe ont ouvert une nouvelle page pour #Rheinmetall », a-t-il déclaré jeudi, lors de la présentation des résultats du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe.

      Le retour des combats conventionnels terrestres a dopé le résultat net de ce dernier : il a bondi de 61 %, à 469 millions d’euros pour un chiffre d’affaires record de 6,4 milliards d’euros, en hausse de 13,25 %. Le résultat opérationnel (Ebit hors effets exceptionnels) a, lui, progressé de 27 %, à 754 millions d’euros. Et ce n’est qu’un début : « Je m’attends à ce que l’année 2023 soit de loin la meilleure année de l’histoire de l’entreprise en termes de commandes », a annoncé Armin Papperger.

      Carnet de commandes record

      Il a plusieurs fois loué devant la presse l’efficacité du nouveau ministre de la Défense Boris Pistorius, qui devrait, selon lui, permettre de débloquer enfin les 100 milliards du fonds de modernisation de l’armée allemande. Sur cette enveloppe, le patron de Rheinmetall estime pouvoir capter 38 milliards d’euros d’ici à 2030, dont 20 milliards répartis à parts équivalentes entre les chars et la numérisation des forces terrestres, et 8 milliards pour les munitions. A ces montants s’ajoute la hausse prévisible du budget de la défense allemande : Boris Pistorius a réclamé 10 milliards de plus par an et il faudrait même 10 milliards supplémentaires pour atteindre les 2 % du PIB. Un objectif pour tous les membres de l’Otan qui devrait rapidement devenir un prérequis minimum. Le réarmement généralisé des pays de l’Alliance atlantique ne peut donc que profiter à Rheinmetall. Il vient en outre d’élargir sa palette en s’invitant dans la fabrication du fuselage central du F-35 américain qui devrait lui rapporter plusieurs milliards d’euros. Le groupe, qui affichait déjà l’an dernier un carnet de commandes record de 24 milliards d’euros, estime avoir les capacités pour faire bien davantage.

      600.000 obus

      En Ukraine, Rheinmetall assure ainsi pouvoir livrer un peu moins de la moitié des besoins de la production d’artillerie. Avec l’achat du fabricant espagnol Expal Systems, qui devrait être bouclé dans l’année, la capacité annuelle du groupe passe à environ 450.000 obus, voire 600.000 d’ici à deux ans.

      Rheinmetall est en train d’agrandir une usine en Hongrie et souhaite en ouvrir une de poudre en Saxe avec la participation financière de Berlin. Selon Armin Papperger, l’intégration verticale de l’entreprise, qui produit elle-même ses composants, la met par ailleurs à l’abri d’un chantage éventuel de la Chine sur les matières premières. Quant à la main-d’oeuvre, elle ne manquerait pas : le groupe se dit « inondé de candidatures », il a recruté 3.000 personnes l’an dernier et compte en faire autant cette année. Toutes les planètes sont donc alignées aux yeux de Rheinmetall pour pousser les feux. Le groupe vise un chiffre d’affaires de 7,4 à 7,6 milliards d’euros en 2023, ce qui représenterait une nouvelle hausse de 15,5 % à 18,7 %. Sa marge opérationnelle devrait passer de 11,8 % à 12 % environ.

      #militarisation #militarisme #capitalisme #troisième_guerre_mondiale

    • La guerre en Ukraine accélère la militarisation

      La guerre en Ukraine accélère la militarisation de l’Europe. Tragédie pour les populations ukrainienne et russe qui ont déjà payé cette guerre de 30 000 morts, elle est une aubaine pour les militaires et les marchands d’armes. Première guerre dite «  de haute intensité  » en Europe depuis 1945, sur un front de plus de 1 000 kilomètres, elle permet aux militaires de tester leurs matériels, de valider ou adapter leurs doctrines d’utilisation. Elle offre un marché inespéré pour les marchands d’armes appelés à fournir munitions et missiles, drones ou chars détruits en grande quantité. Elle accélère la hausse des budgets militaires de tous les États.

      Une militarisation engagée avant la guerre en Ukraine

      La hausse des dépenses militaires dans le monde était engagée avant l’invasion russe de l’Ukraine. Selon le dernier rapport du Sipri, l’Institut international pour la paix de Stockholm, publié le 25 avril, les dépenses militaires dans le monde ont dépassé en 2021, pour la première fois, la barre des 2 000 milliards de dollars, avec 2 113 milliards de dollars, soit 2,2 % du PIB mondial. C’est la septième année consécutive de hausse des dépenses militaires dans le monde selon ce rapport, qui précise  : «  Malgré les conséquences économiques de la pandémie de Covid-19, les dépenses militaires mondiales ont atteint des niveaux records.  »

      Si la Russie, présentée comme le seul agresseur et va-t-en-guerre, a augmenté son budget militaire en 2021, qui atteint 66 milliards de dollars et 4 % de son PIB, elle n’arrive qu’en cinquième position dans le classement des puissances les plus dépensières, derrière les États-Unis, la Chine, l’Inde et la Grande-Bretagne.

      En Grande-Bretagne, avec 68,3 milliards de dollars, les dépenses militaires sont en hausse de 11,1 %. Après le Brexit, Boris Johnson a multiplié les investissements, en particulier dans la marine. Peu avant sa démission, il affirmait vouloir restaurer l’impérialisme britannique en tant que «  première puissance navale en Europe  » et marquait à la culotte les autres puissances impérialistes du continent. Il a été l’un des premiers dirigeants européens à se rendre à Kiev pour afficher son soutien à Zelensky. Toute une brochette de politiciens britanniques milite pour que les dépenses militaires augmentent plus vite encore dans les années à venir. Ainsi, Nile Gardiner, ancien collaborateur de Thatcher, affirmait en mars au Daily Express : «  Les dépenses de défense devraient doubler, de deux à quatre pour cent [du PIB] dans les années à venir si la Grande-Bretagne veut sérieusement redevenir une puissance mondiale.  »

      Johnson a renforcé par divers canaux sa coopération militaire avec les États-Unis. Ces liens étroits entre les impérialismes britannique et américain ont été illustrés par l’alliance #Aukus (acronyme anglais pour Australie, Royaume-Uni et États-Unis) contre la Chine. Cette alliance s’est concrétisée par la commande australienne de huit sous-marins à propulsion nucléaire, pour la somme de 128 milliards de dollars. Déjà en hausse de 4 % en 2021 par rapport à 2020, les dépenses militaires de l’Australie sont donc appelées à augmenter. C’est aussi la politique occidentale agressive vis-à-vis de la Chine, et les pressions américaines, qui ont poussé le Japon à dépenser 7 milliards de dollars de plus en 2021 pour ses armées, la plus forte hausse depuis 1972.

      Selon le rapport du #Sipri, dès 2021, donc avant la guerre en Ukraine, huit pays européens membres de l’#Otan avaient porté leurs dépenses militaires à 2 % de leur PIB, ce que réclament depuis longtemps les États-Unis à leurs alliés. Avec 56,6 milliards de dollars (51 milliards d’euros) dépensés en 2021, la France est passée de la huitième à la ­sixième place des États pour leurs dépenses en armement. La loi de programmation militaire 2019-2025 avait déjà prévu un budget de 295 milliards d’euros sur six ans, pour arriver à plus de 2,5 % du PIB en 2025.

      La guerre en Ukraine a donc éclaté dans ce contexte d’augmentation générale des dépenses d’armement, qu’elle ne peut qu’accélérer et renforcer.

      Les leçons de la guerre en Ukraine

      Pour les états-majors et les experts, la #guerre_en_Ukraine n’est pas une tragédie mais d’abord un formidable terrain d’expérimentation des matériels de guerre et des conditions de leur mise en œuvre. Chaque épisode – offensive contrariée des armées russes au début de la #guerre, retrait du nord de l’#Ukraine puis offensive dans le #Donbass, destruction méthodique des villes – et les diverses façons d’utiliser l’artillerie, les drones, l’aviation, les moyens de communication et de renseignement sont étudiés pour en tirer le maximum de leçons. Depuis six mois, des milliers d’experts et d’ingénieurs chez #Thales, #Dassault, #Nexter, MBDA (ex-Matra), #Naval_Group ou chez leurs concurrents américains #Lockheed_Martin, #Boeing ou #Northrop_Grumman, étudient en détail comment cette guerre met en lumière «  la #numérisation du champ de bataille, les besoins de munitions guidées, le rôle crucial du secteur spatial, le recours accru aux drones, robotisation, cybersécurité, etc.  » (Les Échos du 13 juin 2022). Ces experts ont confronté leurs points de vue et leurs solutions technologiques à l’occasion de l’immense salon de l’#armement et de la sécurité qui a réuni, début juin à Satory en région parisienne, 1 500 #marchands_d’armes venus du monde entier. Un record historique, paraît-il  !

      Les leçons de la guerre en Ukraine ne sont pas seulement technologiques. Comme l’écrivait le journal Les Échos du 1er avril 2022, «  la guerre entre grands États est de retour en Europe. » Cette guerre n’a plus rien à voir avec «  les “petites guerres” comme celles de Bosnie ou du Kosovo, ni les opérations extérieures contre des groupes terroristes (Al Qaida, Daech) ou des États effondrés (Libye, 2011)  ». Pour les militaires, cette guerre n’est plus «  une guerre échantillonnaire mais une guerre de masse  », tant du point de vue du nombre de soldats tués ou blessés au combat que du nombre de munitions tirées et du matériel détruit.

      Entre février et juin, selon les estimations réalisées malgré la censure et les mensonges de chaque camp, cette guerre aurait fait 30 000 morts russes et ukrainiens, plusieurs centaines par jour. L’Ukraine rappelle que la guerre est une boucherie, que les combats exigent sans cesse leur chair à canon, avec des soldats qui pourrissent et meurent dans des tranchées, brûlent dans des chars ou sont tués ou estropiés par des obus et des missiles. Leur guerre «  de haute intensité  », c’est avant tout des morts, parmi les militaires comme les civils. Préparer les esprits à accepter de «  mourir pour nos valeurs démocratiques  », autre déclinaison du «  mourir pour la patrie  », est l’un des objectifs de la #propagande des gouvernements occidentaux qui mettent en scène la guerre en Ukraine.

      Côté matériel, les armées russes ont perdu plusieurs centaines de chars. Les États-Unis et leurs alliés ont livré plusieurs dizaines de milliers de missiles sol-sol ou sol-air de type Javelin ou Stinger, à 75 000 dollars pièce. Une semaine après le début de l’invasion russe, le colonel en retraite Michel Goya, auteur d’ouvrages sur les guerres contemporaines, écrivait  : «  L’#armée_de_terre française n’aurait plus aucun équipement majeur au bout de quarante jours  » (véhicules de combat, pièces d’artillerie…). La conclusion de tous ces gens-là est évidente, unanime  : il faut «  des forces plus nombreuses, plus lourdement équipées [qui] exigeront des budgets de défense accrus  » (Les Échos, 1er avril 2022). Augmenter les budgets militaires, drainer toujours plus d’argent public vers l’industrie militaire ou sécuritaire, c’est à quoi s’emploient les ministres et les parlementaires, de tous les partis, depuis des années.

      Des complexes militaro-industriels concurrents

      La guerre en Ukraine, avec l’augmentation spectaculaire des #budgets_militaires qu’elle accélère, est une aubaine pour les marchands d’armes. Mais elle intensifie en même temps la guerre que se livrent ces industriels. L’annonce par le chancelier allemand, fin février, d’un emprunt de 100 milliards d’euros pour remettre à niveau la #Bundeswehr, autrement dit pour réarmer l’Allemagne, a déclenché des polémiques dans l’#Union_européenne. Le journal Les Échos du 30 mai constatait avec dépit  : «  L’#armée_allemande a annoncé une liste de courses longue comme le bras, qui bénéficiera essentiellement aux industries américaines  : achat de #F-35 à Lockheed Martin, d’hélicoptères #Chinook à Boeing, d’avions P8 à Boeing, de boucliers antimissiles à Israël, etc.  » Au grand dam des militaristes tricolores ou europhiles, le complexe militaro-industriel américain profitera bien davantage des commandes allemandes que les divers marchands de mort européens.

      Il en est ainsi depuis la naissance de l’Union européenne  : il n’y a pas une «  #défense_européenne  » commune car il n’y a pas un #impérialisme européen unique, avec un appareil d’État unique défendant les intérêts fondamentaux d’une #grande_bourgeoisie européenne. Il y a des impérialismes européens concurrents, représentant des capitalistes nationaux, aux intérêts économiques complexes, parfois communs, souvent opposés. L’#impérialisme_britannique est plus atlantiste que les autres puissances européennes et très tourné vers son vaste ex-­empire colonial. L’#impérialisme_français a développé ses armées et sa marine pour assurer sa mainmise sur son pré carré ex-colonial, en particulier en Afrique. L’impérialisme allemand, qui s’est retranché pendant des décennies derrière la contrition à l’égard des années hitlériennes pour limiter ses dépenses militaires, en se plaçant sous l’égide de l’Otan et des #États-Unis, a pu consacrer les sommes économisées à son développement économique en Europe centrale et orientale. Les interventions militaires ou diplomatiques n’étant que la continuation des tractations et des rivalités commerciales et économiques, il n’a jamais pu y avoir de défense européenne commune.

      Les rivalités permanentes entre Dassault, Airbus, #BAE, #Safran ont empêché la construction d’un avion de combat européen. La prépondérance des États-Unis dans l’Otan et leur rôle majeur en Europe de l’Est et dans la guerre en Ukraine renforcent encore les chances du #secteur_militaro-industriel américain d’emporter les futurs marchés. Ces industriels américains vendent 54 % du matériel militaire dans le monde et réalisent 29 % des exportations. L’aubaine constituée par les futures dépenses va aiguiser les appétits et les rivalités.

      Bien sûr, les diverses instances européennes s’agitent pour essayer de ne pas céder tout le terrain aux Américains. Ainsi, le commissaire européen au Commerce et ex-ministre français de l’Économie, Thierry Breton, vient de débloquer 6 milliards d’euros pour accélérer le lancement de 250 satellites de communication de basse orbite, indispensables pour disposer d’un réseau de communication et de renseignement européen. Jusqu’à présent, les diverses armées européennes sont dépendantes des États-Unis pour leurs renseignements militaires, y compris sur le sol européen.

      À ce jour, chaque pays européen envoie en Ukraine ses propres armes, plus ou moins compatibles entre elles, selon son propre calendrier et sa volonté politique. Les champs de bataille du Donbass servent de terrain de démonstration pour les canons automoteurs français Caesar, dont les journaux télévisés vantent régulièrement les mérites, et les #chars allemands Gepard, anciens, ou Leopard, plus récents. La seule intervention commune de l’Union européenne a été le déblocage d’une enveloppe de financement des livraisons d’armes à l’Ukraine, d’un montant de 5,6 milliards sur six ans, dans laquelle chaque État membre peut puiser. C’est une façon de faciliter l’envoi d’armes en Ukraine aux pays de l’UE les moins riches. Avec l’hypocrisie commune aux fauteurs de guerre, les dirigeants de l’UE ont appelé cette enveloppe «  la facilité européenne pour la paix  »  !

      Vers une économie de guerre  ?

      Pour passer d’une «  guerre échantillonnaire  » à une «  guerre de masse  », la production d’armes doit changer d’échelle. Pour ne parler que d’eux, les fameux canons Caesar de 155 millimètres sont produits en nombre réduit, une grosse dizaine par an, dans les usines #Nexter de Bourges, pour la somme de 5 millions d’euros l’unité. Pour en livrer une douzaine à l’Ukraine, le gouvernement a dû les prélever sur la dotation de l’armée française, qui n’en a plus que 64 en service. Juste avant le début de la guerre en Ukraine, Hervé Grandjean, le porte-parole des armées, rappelait les objectifs de l’armée française pour 2025  : «  200 chars Leclerc, dont 80 rénovés, 135 #blindés_Jaguar, 3 300 #blindés_légers, 147 hélicoptères de reconnaissance et d’attaque dont 67 Tigre, 115 #hélicoptères de manœuvre, 109 #canons de 155 et 20 drones tactiques notamment  ». En comparaison, et même si les chars des différentes armées n’ont ni les mêmes caractéristiques ni la même valeur, en trois mois de guerre en Ukraine, plus de 600 chars russes ont été détruits ou mis hors service.

      La guerre en Ukraine devrait donc permettre aux militaires d’obtenir davantage de coûteux joujoux. Ils ont reçu le soutien inconditionnel du président de la Cour des comptes, l’ex-socialiste Pierre Moscovici, pour qui «  l’aptitude des armées à conduire dans la durée un combat de haute intensité n’est pas encore restaurée  ». Et dans son discours du 14 juillet, Macron a confirmé une rallonge de 3 milliards d’euros par an pour le budget de l’armée. Mais pour rééquiper en masse les armées européennes, il faut que les capacités de production suivent. Le 13 juin, Le Monde titrait  : «  Le ministère de la Défense réfléchit à réquisitionner du matériel du secteur civil pour refaire ses stocks d’armes  », et précisait  : «  L’État pourrait demander à une PME de mécanique de précision qui ne travaille pas pour le secteur de la défense de se mettre à disposition d’un industriel de l’armement pour accélérer ses cadences.  » Et comme toujours, l’État s’apprête à prendre en charge lui-même «  les capacités de production de certaines PME de la défense, en payant par exemple des machines-outils  ». Les capitalistes n’étant jamais si bien servis que par eux-mêmes, le chef de l’UIMM, le syndicat des patrons de la métallurgie, est désormais #Éric_Trappier, le PDG de Dassault.

      Produire plus massivement du matériel militaire coûtera des dizaines, et même des centaines, de milliards d’euros par an. Il ne suffira pas de réduire encore plus les budgets de la santé ou de l’école. Les sommes engagées seront d’un tout autre niveau. Pour y faire face, les États devront s’endetter à une échelle supérieure. Les gouvernements européens n’ont peut-être pas encore explicitement décidé un tel tournant vers la production en masse de ce matériel militaire, mais les plus lucides de leurs intellectuels s’y préparent. L’économiste et banquier Patrick Artus envisageait dans Les Échos du 8 avril le passage à une telle «  #économie_de_guerre  ». Pour lui, cela aurait trois conséquences  : une hausse des #dépenses_publiques financées par le déficit du budget de l’État avec le soutien des #banques_centrales  ; une forte inflation à cause de la forte demande en énergie et en métaux parce que les #dépenses_militaires et d’infrastructures augmentent  ; enfin la rupture des interdépendances entre les économies des différents pays à cause des ruptures dans les voies d’approvisionnement.

      Avant même que les économies européennes ne soient devenues «  des économies de guerre  », les dépenses publiques au service des capitalistes ne cessent d’augmenter, l’inflation revient en force, aggravée par la spéculation sur les pénuries ou les difficultés d’approvisionnement de telle ou telle matière première. L’#économie_capitaliste est dans une impasse. Elle est incapable de surmonter les contradictions qui la tenaillent, et se heurte une fois de plus aux limites du marché solvable et à la concurrence entre capitalistes, qui engendrent les rivalités entre les puissances impérialistes  ; à la destruction des ressources  ; et à son incapacité génétique d’en planifier l’utilisation rationnelle au service de l’humanité. La course au militarisme est inexorable, car elle est la seule réponse à cette impasse qui soit envisageable par la grande bourgeoisie. Cela ne dépend absolument pas de la couleur politique de ceux qui dirigent les gouvernements. Le militarisme est inscrit dans les gènes du capitalisme.

      Le #militarisme, une fuite en avant inexorable

      Il y a plus d’un siècle, #Rosa_Luxemburg notait que le militarisme avait accompagné toutes les phases d’accumulation du #capitalisme  : «  Il est pour le capital un moyen privilégié de réaliser la plus-value.  » Dans toutes les périodes de crise, quand la rivalité entre groupes de capitalistes pour s’approprier marchés et matières premières se tend, quand le marché solvable se rétrécit, le militarisme a toujours représenté un «  champ d’accumulation  » idéal pour les capitalistes. C’est un marché régulier, quasi illimité et protégé  : «  L’#industrie_des_armements est douée d’une capacité d’expansion illimitée, […] d’une régularité presque automatique, d’une croissance rythmique  » (L’accumulation du capital, 1913). Pour la société dans son ensemble, le militarisme est un immense gâchis de force de travail et de ressources, et une fuite en avant vers la guerre généralisée.

      Pour les travailleurs, le militarisme est d’abord un vol à grande échelle des fruits de leur travail. La production en masse de matériel de destruction massive, ce sont des impôts de plus en plus écrasants pour les classes populaires qui vont réduire leur pouvoir d’achat, ce sont des hôpitaux fermés, des écoles surchargées, des enseignants en sous-effectif, des transports dégradés, c’est un budget de l’État écrasé par la charge de la dette. Pour la #jeunesse, le militarisme, c’est le retour au service militaire, volontaire ou forcé, c’est l’embrigadement derrière le nationalisme, l’utilisation de la guerre en Ukraine pour redonner «  le sens du tragique et de l’histoire  », selon la formule du chef d’état-major des armées, Thierry Burkhard.

      L’évolution ultime du militarisme, c’est la #guerre_généralisée avec la #mobilisation_générale de millions de combattants, la militarisation de la production, la #destruction méthodique de pays entiers, de villes, d’infrastructures, de forces productives immenses, de vies humaines innombrables. La guerre en Ukraine, après celles en Irak, en Syrie, au Yémen et ailleurs, donne un petit aperçu de cette barbarie. La seule voie pour éviter une barbarie plus grande encore, qui frapperait l’ensemble des pays de la planète, c’est d’arracher aux capitalistes la direction de la société.

      Un an avant l’éclatement de la Première Guerre mondiale, #Rosa_Luxemburg concluait son chapitre sur le militarisme par la phrase  : «  À un certain degré de développement, la contradiction [du capitalisme] ne peut être résolue que par l’application des principes du socialisme, c’est-à-dire par une forme économique qui est par définition une forme mondiale, un système harmonieux en lui-même, fondé non sur l’accumulation mais sur la satisfaction des besoins de l’humanité travailleuse et donc sur l’épanouissement de toutes les forces productives de la terre.  » Ni Rosa Luxemburg, ni #Lénine, ni aucun des dirigeants de la Deuxième Internationale restés marxistes, c’est-à-dire communistes, révolutionnaires et internationalistes, n’ont pu empêcher l’éclatement de la guerre mondiale et la transformation de l’Europe en un gigantesque champ de bataille sanglant. Mais cette guerre a engendré la plus grande vague révolutionnaire de l’histoire au cours de laquelle les soldats, ouvriers et paysans insurgés ont mis un terme à la guerre et menacé sérieusement la domination du capital sur la société. L’issue est de ce côté-là.

    • France. Militaires et industriels doutent d’être suffisamment gavés

      Les « promesses déjà annoncées : une hausse de 5 milliards d’euros pour combler le retard dans les drones, un bond de 60 % des budgets des trois agences de renseignement, une relance des commandes dans la défense sol-air , la reconstitution des stocks de munitions. Il a aussi promis plus de navires et de satellites pour l’Outre-Mer, des avancées dans la cyberdéfense, le spatial, la surveillance des fonds marins, le doublement du budget des forces spéciales, et enfin une progression de 40 % des budgets pour la maintenance des équipements, afin d’en accroître les taux de disponibilité.

      Ajouter à cette liste un doublement de la réserve, une participation potentiellement accrue au service national universel, la promesse de dégager 10 milliards pour l’innovation... « Toutes les lignes budgétaires vont augmenter, sauf la provision pour les opérations extérieures », a déclaré le ministre. Selon lui, les dépenses pour aider l’armée ukrainienne ne seront pas imputées sur le budget des armées. Ce dont beaucoup de militaires doutent. Un partage des frais entre ministères est plus probable.

      (Les Échos)

    • Pour eux, la guerre n’est pas une tragédie, mais une aubaine.

      Entre 2018 et 2022, la France a vu sa part dans les ventes mondiales d’armes passer de 7 à 11 %.

      Actuellement 3e sur le marché de l’armement, elle se rapproche de la 2e place. Un record qui contribue à la surenchère guerrière, en Ukraine et ailleurs, et qui alimente les profits des marchands d’armes.

    • La nouvelle #loi_de_programmation_militaire a été présentée en Conseil des ministres ce mardi 4 avril. Un budget de la défense en hausse de 40 % par rapport à la #LPM 2019-2025. Un montant historique

      D’autant que la LPM 2024-2030 n’inclura pas le montant de l’aide militaire à l’#Ukraine

      La politique de l’actuel président de la République contraste avec celle de ses prédécesseurs. Comme beaucoup de ses voisins, la France a vu ses dépenses de défense diminuer depuis la fin de la #guerre_froide

      Réarmement spectaculaire de la #Pologne par le biais de la Corée du Sud

      « Ce pays est en première ligne et sera potentiellement une grande puissance militaire en 2030 », a affirmé Bruno Tertrais, directeur adjoint de la Fondation pour la recherche stratégique lors de son audition au Sénat. Le 30 janvier dernier, le Premier ministre polonais a ainsi annoncé que le budget de la défense atteindrait 4 % du PIB en 2023.

      #militarisation #budget_de_la_défense

    • On ne prépare une guerre qu’à la condition de pouvoir la gagner. Et en l’état, les occidentaux commencent tout juste à comprendre que ce qu’ils pensaient assuré (première frappe nucléaire et bouclier ABM) de la part des américains, n’est finalement pas du tout si assuré que cela et que même, ma foi, la guerre est peut-être déjà perdue.

    • En l’état, ce n’est pas la guerre. Mais, oui, ils s’y préparent.

      Et cette nouvelle guerre mondiale ne sera pas déclenchée nécessairement quand ils seront certains de « pouvoir la gagner ».

    • L’Union européenne et ses obus : un petit pas de plus vers une économie de guerre
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/05/10/lunion-europeenne-et-ses-obus-un-petit-pas-de-plus-vers-une-

      Mercredi 3 mai, le commissaire européen Thierry Breton a présenté son plan pour produire un million de munitions lourdes par an. Les industries d’armement européennes ne sont plus adaptées au rythme de production nécessaire pour des guerres de « haute intensité », ou même simplement telle que celle en Ukraine.

      Alors que l’armée ukrainienne tire 5 000 obus d’artillerie par jour de combat, la production annuelle du fabricant français Nexter ne permettrait de tenir ce rythme... que huit jours. Thierry Breton a annoncé une enveloppe de 500 millions d’euros pour stimuler dans ce sens les industriels de l’Union européenne. Elle fait partie d’un plan de deux milliards d’euros annoncé fin mars pour fournir des obus à l’armée de Kiev, sous prétexte « d’aider » l’Ukraine. Il s’agit d’abord de puiser dans les stocks nationaux, puis de passer des commandes, et enfin de remplir les caisses des industriels pour qu’ils produisent plus vite.

      Les sommes déployées par l’UE sont très marginales par rapport aux dépenses faites par chaque puissance impérialiste pour financer son propre armement et enrichir ses capitalistes de l’armement. Ainsi, la programmation militaire française a augmenté de 100 milliards d’euros, tandis que le gouvernement allemand promet, lui, 100 milliards pour moderniser son armée.

      L’annonce européenne vise sans doute surtout à afficher à l’échelle du continent, donc aux yeux d’un demi-milliard d’Européens, que l’on va vers une économie de guerre et qu’il faut s’y adapter dès maintenant. Dans ce qu’a déclaré Thierry Breton, il y a aussi l’idée de s’attaquer à tous les goulots d’étranglement qui bloquent cette marche vers une économie de guerre. Il prévoit des dérogations aux règles européennes, déjà peu contraignantes, sur le temps de travail, c’est-à-dire de donner carte blanche aux patrons pour allonger la journée de travail dans les usines concernées. Le flot d’argent public dépensé en armement, que ce soit au niveau des États ou de l’Union européenne, sera pris sur la population d’une façon ou une autre. Chaque milliard en plus pour les obus signifiera un hôpital en moins demain.

  • #violencespolicières #armes #police #manifestation...

    🛑 Maintien de l’ordre  : ces armes dangereuses utilisées en manifestation... - Amnesty International France

    Gaz lacrymogènes, grenades explosives, lanceur de balles de défense, matraques… partout dans le monde, la police utilise ce type d’armes dans le cadre de manifestations. Bien que qualifiées d’armes à létalité réduite*, elles blessent et tuent. Et leur commerce est hors de contrôle. Focus sur la dangerosité de ces armes utilisées par la police et sur l’encadrement à adopter à l’échelle internationale (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.amnesty.fr/liberte-d-expression/actualites/maintien-de-l-ordre-ces-armes-dangereuses-utilisees-en-manifestation

  • En exportant des armes, la France et l’Allemagne alimentent le conflit entre la Grèce et la Turquie [mars 2022]
    https://www.investigate-europe.eu/fr/2022/exportations-armes-france-allemagne-conflit-grece-turquie

    En 2021, au cœur de la récession provoquée par la pandémie, la #Grèce a consacré 3,8% de son PIB à la #défense. En relatif, le budget le plus élevé de tous les États membres de l’Otan… Le petit État du sud de l’Europe, a dépensé davantage que les États-Unis - 3,5% de leur PIB. « Nous ne sommes pas un grand pays, nous n’avons pas non plus la plus grande économie d’Europe », expliquait ainsi le ministre grec des affaires étrangères, en janvier dernier. « Pourtant, nous avons plus de chars d’assaut que l’Allemagne et la France réunies. Nous avons l’une des plus grandes, sinon la plus grande, force aérienne de l’UE. Nous avons plus de 250 avions de combat ».

    [...] Au cours des 40 dernières années, les États-Unis, l’Allemagne et la France ont été les principaux exportateurs d’#armes vers la Grèce et la #Turquie. [...] La France, elle, a souvent choisi le camp de la Grèce, quant à l’Allemagne, elle a plutôt préféré celui de la Turquie. Au fil des années, les deux grandes alliées de l’UE, ont alimenté une course à l’armement qui semble sans limite.

    [...] En septembre 2021, c’est au tour de la France de soutenir la Grèce, avec la signature d’une clause d’assistance mutuelle en matière de défense. Cet accord, poussé par la diplomatie grecque depuis des années, stipule que la France viendra en aide à la Grèce si elle est attaquée par un autre pays, y compris… la Turquie. La protection française s’est monnayée chère, le “partenariat stratégique” inclut l’achat de 24 avions Rafale et d’ « au minimum trois frégates Belharra », le ministre grec de la défense laissant entendre qu’il serait prêt à monter jusqu’à 40 Rafales.

  • « Et le sabotage de Nordstream ça visait à quoi ? »

    L’aide humanitaire et militaire que fournissent les États-Unis et l’Europe à l’Ukraine vise à garantir la sécurité et le respect des frontières européennes.
    Pour que l’Europe reste un endroit où la liberté et la démocratie prospèrent, 🇺🇦 l’Ukraine doit l’emporter.

    https://video.twimg.com/amplify_video/1623223245888421890/vid/720x720/A_fHV7NYhE0DIk1b.mp4?tag=16

    https://seenthis.net/messages/989862
    https://www.thetimes.co.uk/article/us-bombed-nord-stream-gas-pipelines-claims-investigative-journalist-seym

    Le bombardement des gazoducs sous-marins Nord Stream : une opération secrète ordonnée par la Maison Blanche et menée par la CIA affirme Seymour Hersh, prix Pulitzer pour ses révélations sur les crimes de guerre américains au Vietnam.

    • Que l’impérialisme se cache derrière des discours à dormir debout sur la démocratie et la liberté, pas étonnant. Ils nous refont à chaque fois le coup. La réalité, naturellement, est d’une autre nature. Maintenant, ce que raconte Seymour, même si ces dires n’ont rien d’étonnant, il faut s’en méfier un brin – le type a glissé dans le conspirationnisme depuis un petit moment...

      La #guerre qui ravage l’#Ukraine, que les classes populaires ukrainiennes et russes paient au prix fort, n’est donc pas seulement une agression du dictateur du Kremlin contre un voisin plus petit. Elle est le dernier épisode en date de trois décennies de pressions incessantes des États-Unis et de leurs alliés de l’Otan sur la Russie, pour réduire sa #zone_d’influence en faisant basculer dans la leur le maximum de territoires issus de l’URSS. À ce titre, l’offensive en cours déclenchée par Poutine s’inscrit dans une stratégie défensive de la Russie face à la poussée de l’#impérialisme.

      Mais, comme Roosevelt et Staline en leur temps, Biden et Poutine se comportent en bandits à la fois rivaux et complices. Malgré la campagne politico-médiatique du monde occidental qui présente Poutine comme un dictateur sanguinaire, les dirigeants impérialistes, s’ils cherchent effectivement à affaiblir la Russie, ne cherchent pas à se passer de celui qui la dirige. Ils ont besoin de son régime à poigne, qui assume un rôle irremplaçable de gardien de l’ordre mondial et de la stabilité sociale sur une portion de la planète, y compris au-delà des frontières de la #Fédération_de_Russie. Ainsi, ils n’ont rien trouvé à redire quand, en janvier dernier, #Poutine a envoyé ses parachutistes pour aider le dictateur du #Kazakhstan à mater une révolte ouvrière. Il est significatif que, lorsque le président des #États-Unis, venu à la fin mars passer en revue les troupes américaines stationnées en Pologne, a déclaré  : «  Cet homme ne peut pas rester au pouvoir  », son entourage l’a immédiatement recadré, affirmant que le départ de Poutine n’était pas leur objectif. Mais en même temps, bien sûr, ils veulent un État russe suffisamment faible pour qu’il ne puisse pas entraver les affaires de leurs capitalistes ni contrer les manœuvres de leurs diplomates et services secrets dans cette même région. Le secrétaire d’État à la Défense, #Lloyd_Austin, l’a explicité le 24 avril, depuis Kiev  : «  Nous voulons maintenant voir la Russie affaiblie à un point tel qu’elle ne puisse pas recommencer des choses comme envahir l’Ukraine.  »

      Jusqu’à quel point les dirigeants américains veulent-ils affaiblir la #Russie  ? Que sont-ils prêts à concéder à Poutine, y compris sur le dos de l’Ukraine, qui fournit la chair à canon tandis que l’Amérique fournit les #armes  ? Le Kremlin a envahi l’Ukraine avec un objectif affiché  : obtenir sa neutralité et la garantie que l’#Otan n’y installera aucune base. Après avoir échoué à faire tomber Kiev et le gouvernement #Zelensky, quel compromis Poutine est-il prêt à accepter  ? La réponse à ces questions dépendra du rapport de force sur le terrain, de la réussite ou de l’échec de la nouvelle offensive russe centrée sur le Donbass. Pour les dirigeants américains, affaiblir la Russie, cela signifie prolonger la guerre en renouvelant les stocks de munitions et en augmentant encore les livraisons d’armes.

      https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/05/02/ukraine-une-guerre-russo-americaine-et-un-tournant_301279.ht

  • « Vingt ans après l’invasion de l’Irak, la guerre est dans toutes les têtes, et tout le monde vient de Mars »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/01/11/vingt-ans-apres-l-invasion-de-l-irak-la-guerre-est-dans-toutes-les-tetes-et-

    C’était il y a vingt ans. A la veille de l’invasion de l’Irak par les troupes des Etats-Unis, le prolifique géopoliticien Robert Kagan publiait un livre retentissant inspiré par un article écrit quelques mois plus tôt par la revue du cercle de réflexion conservateur américain Heritage Foundation. Il y faisait le constat d’une fracture qu’il redoutait irrémédiable entre les deux rives de l’Atlantique, saisie par une formule volontairement caricaturale promise à la postérité : les Américains venaient de Mars, assurait-il, et les Européens de Vénus.

    Les premiers considéraient la guerre comme contingente de la puissance, alors que les seconds s’en remettaient aux liens du commerce et aux règlements internationaux pour chasser le conflit armé de la grammaire des relations internationales. Ces derniers rêvaient de la paix perpétuelle inspirée par Emmanuel Kant, quand les autres s’en tenaient froidement à leur vision hobbesienne d’un monde naturellement anarchique où un ordre libéral, dans le sens anglo-saxon, ne pouvait être garanti en dernier recours que par la force militaire.

    Vingt ans plus tard, la guerre est dans toutes les têtes, et tout le monde vient de Mars.

    #états-unis #leadership #guerres

  • #États-Unis : tueries de masse par jour et par État et nombre de morts — une infographie plutôt impressionnante dans Libé ce matin.

    Le nombre de décès par armes à feu aux Etats-Unis bat lui aussi des records : 48 830 en 2021, en hausse de 8 % par rapport à 2020, une année jugée « historique » par les autorités sanitaires. Environ 54 % de ces décès sont des suicides.

    Les tueries de masse, elles aussi, font de plus en plus de victimes - près de 700 morts et 1 300 blessés l’an passé, contre 275 et 433 en 2014. Et inexorablement, leur fréquence s’accélère. Sur les 25 #massacres les plus meurtriers perpétrés aux Etats-Unis, et dont les noms restent gravés dans la mémoire collective (Parkland, Orlando, Sandy Hook, El Paso, Virginia Tech, Uvalde, Buffalo…), vingt ont été perpétrées depuis l’an 2000 et douze au cours des cinq dernières années.

    #fusillade #armes #meurtre #fussillade_de_masse #violence_armée #turie_de_masse #fusillades

  • Pas d’interdiction le dimanche, délit d’alcoolémie : ce que contient le plan chasse du gouvernement
    https://www.francebleu.fr/infos/societe/plan-chasse-du-gouvernement-un-delit-d-alcoolemie-et-de-stupefiants-insta

    Bientôt une autorisation pour avoir le droit de se balader !

    Parmi les 14 mesures détaillées par la secrétaire d’État à l’Écologie, l’interdiction de chasser sous l’empire de l’alcool ou encore la création d’une application mais pas d’instauration d’un jour sans chasse comme le réclamaient les associations...

    Le gouvernement souhaite lancer à l’automne prochain d’une plateforme numérique qui permettra au public d’identifier les zones et horaires non chassés. Cette application pour smartphone doit permettre visualiser en temps réel les chasses en cours, grâce à l’obligation de déclaration par les organisateurs de chasse collective.

    #facepalm #fatigue

  • Pour esquiver la décision suisse, Rheinmetall construit une nouvelle usine de munitions en Allemagne ats/miro - RTS

    Après le refus de la Suisse d’autoriser l’Allemagne à livrer des munitions à l’Ukraine pour les chars Guépard, Rheinmetall a décidé de construire une nouvelle usine en Allemagne. Le but est d’assurer l’approvisionnement indépendant de l’armée allemande en systèmes d’armes importants.


    Rheinmetall Canada - CANSEC 2016

    Les installations de production de munitions de moyen calibre devraient être prêtes en janvier, a confirmé le groupe de matériel de défense allemand à l’agence de presse DPA. L’entreprise évoque un besoin de rattrapage considérable en matière de munitions en Allemagne.

    « Ces lacunes doivent être comblées conformément aux directives de l’OTAN », a déclaré un porte-parole de l’entreprise d’armement. Le site doit produire des munitions pour les calibres 20-35 millimètres. La production devrait débuter en juin 2023.

    Soulagement de la commission de défense du Parlement allemand
    Rheinmetall sera en mesure de livrer un premier lot de munitions pour le char Guépard dès le mois de juillet, précise le porte-parole. Il devrait être destiné à l’Ukraine. L’Allemagne a donné à Kiev des Guépard, mais n’a pas pu fournir beaucoup de munitions. Ces chars sont équipés d’un double canon de 35 mm fabriqué par le groupe suisse Oerlikon, qui appartient à Rheinmetall.

    « Je suis très soulagé que l’industrie ait réagi aussi rapidement », a déclaré jeudi la présidente de la commission de défense du Parlement allemand, Marie-Agnes Strack-Zimmermann (FDP). « À l’avenir, davantage de munitions, dont nous avons un besoin urgent, seront fabriquées en Allemagne », a-t-elle ajouté, soulignant « il est primordial que l’Allemagne devienne plus indépendante en matière de fabrication de munitions, en collaboration avec ses partenaires de l’OTAN ».

    Berlin prévoit de dépenser vingt milliards d’euros
    L’armée allemande achète également des munitions suisses pour son système d’armement antiaérien Mantis, pour l’armement principal du char de grenadiers Puma, pour un canon de la marine ainsi que pour les avions de combat Tornado et Eurofighter. Il s’agit de munitions d’un calibre de 20 à 35 millimètres, qui seront désormais aussi fabriquées en Allemagne.

    Berlin prévoit de dépenser au total plus de 20 milliards d’euros en munitions dans les années à venir, y compris des missiles et des munitions d’artillerie.

    #armes #munitions #guerre #otan #nato #Allemagne #Rheinmetall (+/- 23 000 employés) #industrie

  • Crescono le vendite di armi delle prime 100 aziende del mondo. Nonostante la crisi

    Nel 2021 le prime 100 multinazionali del settore -soprattutto statunitensi- hanno registrato un giro di affari pari a 592 miliardi di dollari, più 1,9% rispetto al 2020. L’Italia è tra i Paesi che cresce di più per via del forte incremento dei fatturati di Leonardo. I dati dall’istituto di ricerca indipendente Sipri

    La vendita di armamenti e sistemi d’arma da parte delle prime 100 aziende al mondo ha raggiunto nel 2021 quota 592 miliardi di dollari, in crescita dell’1,9% rispetto all’anno precedente e confermando un trend iniziato nel 2015. L’Italia, per via del boom dei ricavi di Leonardo, è tra le aree che segnano la crescita relativa più forte: più 15%, al primo posto con la Francia. Tutto questo nonostante gli effetti della pandemia da Covid-19 abbiano rallentato le commissioni e messo in crisi i fornitori, rendendo ad esempio i componenti più costosi e difficili da reperire. Lo mostrano i dati diffusi il 5 dicembre 2022 dal Sipri, l’Istituto indipendente di ricerca sulla pace di Stoccolma che si occupa di conflitti, armamenti, controllo delle armi e disarmo.

    “Avremmo potuto aspettarci una crescita ancora maggiore delle vendite di armi nel 2021 senza i persistenti problemi della catena di approvvigionamento -ha spiegato Lucie Béraud-Sudreau, direttrice del Programma di spesa militare e produzione di armi del Sipri-. Sia le grandi aziende produttrici di armi sia quelle più piccole hanno dichiarato che le loro vendite sono state influenzate durante l’anno da questi fattori. Alcuni produttori, come #Airbus e #General_dynamics, hanno anche segnalato carenze di manodopera”. Le catene di approvvigionamento hanno sofferto a causa della loro estensione e complessità: l’italiana Leonardo ha segnalato nei suoi rapporti una rete di fornitori pari a oltre 11mila aziende. A questo scenario si sono aggiunte le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina che ha portato ulteriori difficoltà anche per l’importanza che riveste Mosca nel commercio di componenti d’arma. “Sebbene i rapporti indichino che le aziende russe stanno aumentando la produzione a causa della guerra, queste hanno avuto difficoltà ad accedere ai semiconduttori. Inoltre hanno subito l’impatto delle sanzioni. Ad esempio #Almaz-Antey (non inclusa nella Top 100 per il 2021 per mancanza di dati, ndr) ha dichiarato di non essere riuscita a ricevere i pagamenti per alcune delle sue forniture di armi”, riportano gli esperti del Sipri.

    Veniamo ora alle 100 multinazionali oggetto dello studio. Gli Stati Uniti sono il Paese più rappresentato: sono 40 le aziende Usa tra le prime 100 e le prime cinque per valore assoluto: #Lockheed_Martin, #Raytheon_technologies, #Boeing, #Northrop_grumman e #General_dynamics. Nonostante abbiano affrontato una diminuzione delle vendite di armamenti, perdendo lo 0,9% rispetto al 2020, le principali aziende statunitensi hanno venduto materiale bellico per un totale di 300 miliardi di dollari, pari al 51% della spesa esaminata. Un calo che ha riguardato quattro dei maggiori cinque produttori con l’esclusione di Raytheon Technologies che ha aumentato le vendite del 9,1%. Una particolarità del “mercato” statunitense riguarda le recenti acquisizioni e fusioni tra i produttori del settore. Una delle operazioni più significative è stata l’acquisto da parte di Peraton di Perspecta, azienda specializzata in informatica governativa, per 7,1 miliardi di dollari. “Probabilmente nei prossimi anni potremo aspettarci un’azione più incisiva da parte del governo statunitense per limitare le fusioni e le acquisizioni nell’industria degli armamenti -ha dichiarato Nan Tian, ricercatore senior del Sipri-. Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha infatti espresso la preoccupazione che la riduzione della concorrenza nel settore possa avere effetti a catena sui costi di approvvigionamento e sull’innovazione”. Un timore piuttosto paradossale considerando come funziona il mercato delle armi, con gli Stati a fare da principali committenti.

    Secondo i dati del 2021 sono 27 le aziende in classifica con sede in Europa e le loro vendite complessive hanno registrato un incremento del 4,2%, raggiungendo i 123 miliardi di dollari. Le velocità di crescita cambiano a secondo del settore. “La maggior parte delle aziende europee specializzate nel settore aerospaziale militare ha registrato perdite per il 2021, imputate alle interruzioni della catena di approvvigionamento -ha fatto notare Lorenzo Scarazzato, ricercatore del Programma di spesa militare e produzione di armi del Sipri-. Al contrario i costruttori navali europei sembrano essere stati meno colpiti a e sono stati in grado di aumentare le loro vendite nel 2021″. Tra questi c’è #Fincantieri, che occupa la 46esima posizione e che ha registrato un incremento del 5,9% dei ricavi rispetto all’anno precedente. Crescita che condivide con l’altro gruppo italiano, Leonardo, che ha segnato un aumento fortissimo del 18% e che occupa la 12esima posizione con 13,9 miliardi di dollari di fatturato. Una delle poche aziende del settore aereo che hanno segnato una crescita è la francese Dassault aviation group che ha riportato una crescita del 59% grazie alla commissione di 25 aerei modello “Rafale”.

    Il mercato asiatico, infine, comprende 21 aziende tra le prime cento e ha raggiunto i 136 miliardi di dollari nel corso del 2021 con una crescita del 5,8% rispetto all’anno precedente. La tendenza è stata guidata dai produttori cinesi che da soli contano per 109 miliardi di dollari e hanno aumentato le loro vendite del 6,3%. “A partire dalla metà dello scorso decennio si è verificata un’ondata di consolidamento nell’industria degli armamenti cinese -ha sottolineato Xiao Liang, anch’egli ricercatore del Programma del Sipri-. Nel 2021 la #CSSC cinese è diventata il più grande costruttore di navi militari al mondo, con vendite per 11,1 miliardi di dollari, dopo una fusione tra due società già esistenti”.

    https://altreconomia.it/crescono-le-vendite-di-armi-delle-prime-100-aziende-del-mondo-nonostant
    #armes #armement #commerce_d'armes #statistiques #chiffres #monde #multinationales #business #vente_d'armes

  • Maintien de l’ordre : des mitrailleuses sur 90 blindés commandés par la gendarmerie
    https://www.politis.fr/articles/2022/07/maintien-de-lordre-des-mitrailleuses-sur-90-blindes-commandes-par-la-gendarm

    Le nouveau modèle de camion blindé de la gendarmerie, utilisé lors de manifestations, sera équipé d’une mitrailleuse lourde, d’un lanceur de grenade multi coups et d’une caméra d’identification à longue distance.

    #armes_de_la_police #militarisation #maintien_de_l'ordre

  • Il Paese delle armi. Falsi miti, zone grigie e lobby nell’Italia armata

    L’Italia è il Paese delle armi?

    Questo libro affronta il tema della produzione, del commercio e dell’uso delle armi “comuni” nel nostro Paese: demolisce falsi miti, fa luce su zone grigie e reticenze interessate, sugli omicidi con armi legalmente detenute e sulle falle nel sistema di controllo.

    Una vera e propria inchiesta sulle armi nel nostro Paese.

    Un lavoro certosino e paziente che Giorgio Beretta condensa in queste pagine. In Italia si stimano – la trasparenza resta una chimera – tra 3 e 4 milioni di persone armate, con armi “comuni”, per la difesa personale, l’attività venatoria, il tiro sportivo. Armi definite “leggere” ma che l’ex Segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, non esitò a definìre “armi di distruzione di massa”, non meno letali di quelle per uso militare. Armi che uccidono anche quando sono detenute in modo legale, come dimostrano le tragiche statistiche di omicidi e femminicidi.

    Che cosa fare per contrastare la “cultura” delle armi, le sue lobby e le conseguenze del loro uso? Innanzitutto maggiore trasparenza sul numero di porti d’arma, sulla diffusione delle armi legali e sulle comunicazioni ai familiari, controlli più stringenti e costanti sui requisiti psicofisici di chi possiede un’arma, stop alle rutilanti manifestazioni fieristiche aperte al pubblico e ai minori, un codice per la responsabilità sociale e ambientale delle imprese produttrici.

    https://altreconomia.it/prodotto/il-paese-delle-armi

    #Italie #armes #livre #armes_légères #lobby #lobby #ports_d'armes

  • U.S. races to track American arms in heat of Ukraine war
    https://www.washingtonpost.com/national-security/2022/11/01/us-weapons-ukraine-oversight

    U.S. monitors have conducted in-person inspections for only about 10 percent of the 22,000 U.S.-provided weapons sent to #Ukraine that require special oversight.

    [...] Last week, the administration unveiled a plan to prevent weapons diversion in Eastern Europe. With nearly $18 billion of U.S. military aid provided since February alone, the Biden administration’s aid lifeline to Ukraine is the largest such sum since the Cold War ended.

    [...] Officials acknowledged that when the war erupted, they had no blueprint for tracking weapons in a conventional conflict like the combat in Ukraine. U.S. personnel are unable to venture into the vast stretches of the country occupied by Russian forces or experiencing active fighting.

    Suivi minimal, donc, et plein d’#armes ne sont pas soumises à un special oversight.

    • Pressure builds to step up weapons tracking in Ukraine
      https://www.washingtonpost.com/national-security/2022/11/27/biden-ukraine-weapons
      La pression vient des républicains et les initiatives récentes pour améliorer le contrôle visent à prévenir leurs critiques (c’est pas que pour de bonnes et vertueuses raisons, donc).
      Débat aussi sur la dangerosité d’avoir des inspecteurs sur le terrain et près du front.

      “There are veterans’ groups running all over the country right now,” Waltz said, suggesting that they could be subcontracted to report back to the Pentagon and State Department on how weapons are being used closer to the front. Short of that, Waltz argues it ought to be possible to send U.S. inspectors not just to Ukraine’s central weapons depots, but “down to the brigade or even the battalion headquarters level,” without undue risk.

      Thus far, the Biden administration has resisted pressure to send inspectors or other military personnel too deeply into Ukraine, for fear of fomenting a wider conflict. According to U.S. officials, who spoke on the condition of anonymity to discuss operational matters, American specialists currently conduct weapons inspections unarmed — a condition that would likely be unsustainable if they were sent closer to the front lines.

    • Au passage :

      There are veterans’ groups running all over the country right now

      J’avais lu un truc sur le groupe #Mozart, mais justement fallait qu’ils n’aient aucun lien avec le pentagone sinon ça veut dire implication directe dans la guerre.
      La phrase laisse penser que le pays grouille de vétérans américains... à creuser.

  • Saint-Ouen : la police tire après un refus d’obtempérer, une balle finit dans un bus RATP
    https://actu.fr/ile-de-france/saint-ouen-sur-seine_93070/saint-ouen-la-police-tire-apres-un-refus-d-obtemperer-une-balle-finit-dans-un-b

    Tout commence dans la rue du Landy, quand le conducteur d’une voiture refuse de s’arrêter à la demande d’un équipage de police. Les policiers « se sentant en danger » sortent leur arme de service et tirent à deux reprises en direction du véhicule afin de mettre fin à sa course, précise une source policière.

    Une balle arrivera dans la voiture concernée, la seconde dans une vitre d’un bus de la RATP, précisément de la ligne 173 en direction de La Courneuve. Par chance, aucun occupant du bus qui était en service, n’a été blessé, confirme cette même source.

    #Police #armes_de_la_police #délit_de_fuite #refus_d'obtempérer #93

  • Quand Poutine prétend que [l’utilisation d’armes nucléaires dans le conflit en Ukraine] ce n’est pas du bluff, il faut traduire par : « ce n’est pas du bluff » ...

    Une attaque nucléaire russe est-elle une perspective crédible ?
    https://theconversation.com/une-attaque-nucleaire-russe-est-elle-une-perspective-credible-19118

    Ce 21 septembre, Vladimir Poutine a réitéré une menace qu’il avait déjà exprimée fin février, au tout début de l’invasion de l’Ukraine, quand il avait mis en état d’alerte les unités des forces armées russes en charge des armements nucléaires : si l’intégrité territoriale de la Russie est menacée, a-t-il assuré, il n’exclut pas le recours aux armes nucléaires.

    Au moment même où, à New York, les chefs d’État du monde entier se succèdent à la tribune de la 77ᵉ Assemblée générale des Nations unies, appelant à la cessation des hostilités, il choisit, lui, de reprendre l’offensive en franchissant un nouveau cran dans la rhétorique très codée de l’arme nucléaire.

    #Ukraine #Russie #armes_nucléaires #guerre

  • La vive régression de l’espérance de vie ébranle le modèle américain.

    En gros, Lles USA font la démonstration de l’inefficacité d’un modèle de #santé non universel financé par les assureurs privés.EV < 2 ans à celle de la Chine : 76,2 ans vs 78,2ans pour 3 x + de dép en %PIB
    Dép santé : 17,8 % PIB aux USA vs 5,5% PIB
    PIB/hab : 59K€ aux #USA vs 13K€ en #Chine

    #opioïdes #armes #covid

  • La France a autorisé des livraisons d’armements à la Russie en 2021
    https://disclose.ngo/fr/article/la-france-a-autorise-des-livraisons-armements-a-la-russie-en-2021

    L’Etat français a validé la livraison d’équipements militaires à la Russie pour près de 7 millions d’euros. C’est ce que révèle un rapport du ministère des armées dont le gouvernement retarde la publication depuis juin dernier. Disclose le publie en intégralité. Lire l’article

  • #Refus_d’obtempérer : l’usage des #armes à feu par les #policiers fait débat après la mort de deux personnes en vingt-quatre heures
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2022/09/08/refus-d-obtemperer-deux-personnes-tuees-par-des-tirs-policiers-en-vingt-quat

    A Nice, au milieu de l’après-midi, mercredi 7 septembre, un ressortissant tunisien d’une trentaine d’années a été abattu d’une balle alors qu’il circulait à bord d’une voiture déclarée volée, après avoir été pris en chasse par une unité de brigade de sécurité routière pour avoir roulé de manière dangereuse sur plusieurs axes très fréquentés de la ville. Une séquence vidéo diffusée sur les réseaux sociaux montre la voiture engagée dans une allée et bloquée par un véhicule de police, d’où s’échappe un épais panache de fumée. Côté conducteur, un fonctionnaire en tenue braque son arme sur la vitre avant de faire feu à une reprise. Le passager de la voiture a, quant à lui, été interpellé.

    Contacté par Le Monde, le procureur de Nice, Xavier Bonhomme, précise que « deux enquêtes ont été ouvertes, l’une, confiée à la sûreté départementale, à l’encontre du passager du véhicule qui a été placé en garde à vue mercredi soir et la seconde pour homicide volontaire confiée à l’IGPN [inspection générale de la police nationale], qui vise le policier auteur du tir ». Ce dernier, précise le magistrat, a été « très touché psychologiquement et admis à l’hôpital avant d’être placé en garde à vue ».

    Dans la nuit de mardi à mercredi, un autre refus d’obtempérer s’est soldé par la mort de la passagère d’une Peugeot 208, après le tir d’un fonctionnaire de la brigade de recherche et d’intervention (BRI) de Nantes, à l’occasion d’une opération antistupéfiants. La femme, âgée de 22 ans, était inconnue des services judiciaires. Elle est morte, à 2 h 15, touchée au thorax par la balle qui a traversé le bras droit du conducteur, un jeune homme de quatre ans son aîné, connu des services de #police.

    [...]

    Si le nombre de refus d’obtempérer a été multiplié par 25 au cours des trente dernières années, les ouvertures de feu par des forces de l’ordre ont, elles aussi, augmenté depuis l’adoption de la loi de janvier 2017 censée préciser le cadre de ces interventions. Après un pic de 202 cas l’année même de l’entrée en vigueur du texte – contre une moyenne de 119 au cours des cinq années précédentes –, l’#IGPN a comptabilisé pas moins de 157 tirs contre des véhicules en mouvement en 2021.